Equipe multiprofessionali, capillarità e diagnostica. Questa la ricetta del presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici: «Copiamo dalla Germania. Chi crede nei distretti è fermo a 20 anni fa». Poi aggiunge: «Serve un vero coordinamento tra le Regioni, il ministero della Salute non riesce ad essere incisivo»
È tutt’altro che sereno Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), quando parla della piega che sta prendendo la riforma dell’assistenza territoriale e del sistema di cure primarie. Si dice, anzi, preoccupato, perché «non ci sono idee innovative che possano portare ad un cambiamento reale».
«Sta prevalendo la conservazione dell’attuale sistema, che ha dimostrato in tutte le maniere di non funzionare – spiega Anelli a Sanità Informazione -. Invece di puntare sui distretti o sulle strutture, si dovrebbe puntare sull’aggregazione tra i professionisti. Solo se gli infermieri e i medici stessero insieme al fianco del malato le loro competenze si sommerebbero, le loro azioni diventerebbero sinergiche e otterremmo quindi quell’assistenza che tutti auspichiamo».
«E invece – continua il presidente Fnomceo – stiamo andando nella direzione opposta. Si assumono gli infermieri di famiglia senza configurare in alcun modo questa figura. Viene garantita loro la dipendenza e vengono inseriti all’interno dei distretti sapendo che questo complicherà il rapporto tra medici di famiglia e infermieri. La forza riformatrice della legge 229 del 1999 ha esaurito la sua forza. Ora bisogna trovare un altro sistema».
La vera scommessa, a detta di Anelli, è quindi far lavorare insieme i professionisti, «nel rispetto delle reciproche competenze e delle reciproche autonomie», senza un rapporto gerarchico, senza subordinazioni, senza la verticalità prevista invece nel distretto. «Chi crede che il distretto possa dare una risposta efficace ha una visione ormai superata dalla storia. È una struttura che non consente l’integrazione, perché c’è un capo che decide per conto dei professionisti. Invece io immagino una struttura in cui i professionisti siano tutti uguali, con un’interazione tra loro costante. Che permetta di mettere al servizio del paziente le conoscenze di ciascun professionista».
Fa quindi l’esempio della Germania, il presidente dei medici italiani: «Uno dei pilastri del sistema di assistenza tedesco, che con il Covid ha dimostrato di funzionare, sono i centri medici presenti sul territorio, in cui il malato trova il medico, l’infermiere, il fisioterapista, il laboratorista. Il paziente va lì e può fare l’ecografia, le analisi, le radiografie, l’elettrocardiogramma. Questo è un modello che funziona e che possiamo copiare. Poi lo chiameremo medicina di gruppo, centro polifunzionale territoriale, unità complessa di cure primarie, o quel che partorirà la fantasia italica. Ma l’obiettivo di fondo deve essere questo».
Un elemento da non perdere dell’attuale sistema? La capillarità: «Il nostro territorio è in gran parte fatto di Comuni piccolissimi, quindi deve essere garantita la prossimità di queste equipe multiprofessionali nei confronti della popolazione».
Tuttavia, la strada da percorrere prima di arrivare al modello tedesco è parecchio lunga. La situazione da cui partiamo è infatti poco incoraggiante. «Sul territorio manca tutto, non c’è nulla – prosegue Anelli -. I medici continuano a lavorare con uno sfigmomanometro e un fonendoscopio. Esattamente come 100 anni fa. Abbiamo bisogno di strumenti per la diagnostica di primo livello: elettrocardiografi, spirometri, retinografi, ecografi. Ormai esistono anche quelli tascabili».
Nell’ultima legge di Bilancio sono stati stanziati 235 milioni per l’acquisto di questi macchinari. «Ma sono passati sette mesi e non abbiamo visto ancora nulla. Sono fermi nel rimpallo tra Stato e Regioni», il commento amaro di Anelli.
Quindi, la stoccata: «Io spero che la Protezione civile prenda in mano questa storia. Così forse risolviamo il problema. Questa storia è la dimostrazione della debolezza del ministero della Salute. Non per responsabilità del Ministro, che si adopera tutti i giorni per questo. Ma per come sono organizzate le cose non può avere incisività. C’è bisogno di un coordinamento tra le Regioni, guidato dal Ministero, che stabilisca le regole e i requisiti minimi che devono avere le varie articolazioni regionali. Altrimenti non andiamo da nessuna parte e continuiamo con i rimpalli».
Secondo Anelli, quindi, se non si danno gli strumenti adeguati ai medici di Medicina Generale, neanche il rapporto con l’ospedale e gli specialisti potrà cambiare. «Il territorio ha una funzione vera nel momento in cui riesce a fornire una risposta alla gran parte delle patologie che non richiedono una visita specialistica. Così allora creeremmo un’alternativa al rimando inappropriato alla medicina di secondo livello. L’80% dei pazienti sani potrebbe eseguire le visite di controllo presso gli ambulatori di Medicina Generale. Perché un paziente iperteso, che sta bene, deve andare dallo specialista per fare un banale elettrocardiogramma solo per verificare lo stato della sua patologia, che non gli crea grandi problemi?».
«Lo specialista – prosegue il presidente Fnomceo – dovrebbe essere interpellato solo quando la situazione clinica del paziente è compromessa. In quel caso è necessario un suo intervento, coordinandosi con il medico di famiglia. Solo in questo modo si creerebbe un vero rapporto tra medico di Medicina Generale e specialista».
«Alla luce di tutto questo – conclude Filippo Anelli – io credo che sia arrivato il momento di rinnovare il sistema. È necessario avviare una riflessione sulle linee di cambiamento. Prima di utilizzare i fondi europei per la sanità, dobbiamo avere un piano. A breve la Fnomceo proporrà la sua proposta alla politica in questo senso. Ma il sistema deve essere rinnovato».
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