Dopo una condanna in sede penale di primo grado, un camice bianco ha chiesto sostegno alla direzione sanitaria, che gliel’ha negato: «Quel che è successo a me potrebbe succedere a tutti i medici dipendenti di una struttura sanitaria»
Cosa significa lavorare per 20 anni in una struttura sanitaria pubblica e, di fronte ad una condanna penale in primo grado (immediatamente impugnata) e ad una provvisionale di circa 25mila euro (che in alcuni casi può pure superare quota 100mila), essere lasciati da soli? Cosa significa essere sicuri di avere l’azienda dalla propria parte, pronta a “proteggere” il suo dipendente (e semmai rivalersi su di lui per danno erariale qualora la Corte dei Conti dovesse accogliere l’eventuale domanda), e invece ritrovarsi ad essere trattato come un libero professionista, che lavora in proprio? Lo sa bene il dottor N., coinvolto cinque anni fa in un processo penale (insieme ad altri colleghi) per il decesso di una paziente e, per l’appunto, condannato in primo grado. La sentenza, dunque, non è definitiva e il medico ha fatto ricorso contro la decisione del giudice.
Il dottor N. è un anestesista rianimatore che si è ritrovato a trattare una paziente che aveva avuto delle complicazioni in un altro reparto. Nel giro di poco più di una settimana la donna è purtroppo deceduta. I parenti stretti hanno dato mandato ai loro avvocati per chiedere il risarcimento e questi si sono organizzati in maniera tale da effettuare un attacco su due fronti. In che modo? Separando le posizioni degli eredi/parenti.
Da un lato alcuni di loro si sono costituiti parte civile nel procedimento penale contro i medici. Gli altri, sempre imparentati con la defunta, hanno promosso una causa civile contro la struttura. Perché questo? Perché il procedimento risarcitorio non c’è nella causa penale a meno che i soggetti danneggiati non si costituiscano parte civile e formulino una richiesta di risarcimento. In un certo senso, dunque, il procedimento civile si innesta nel procedimento penale. Per cui il giudice penale, oltre a valutare i profili di responsabilità, assume anche le vesti “civilistiche” per valutare il risarcimento del danno da riconoscere ai danneggiati costituiti parti civili. Se gli avvocati dei parenti/eredi della persona defunta si muovono in questo modo è possibile iniziare e mandare avanti in contemporanea sia il processo civile che quello penale. In caso contrario, il procedimento civile viene sospeso o dichiarato inammissibile perché è già pendente la richiesta risarcitoria nel penale.
I legali degli eredi hanno quindi deciso di agire su due fronti, separandosi per l’appunto e chiamando in causa penalmente i dipendenti della struttura e civilmente la struttura stessa. Così i due procedimenti potevano andare avanti in contemporanea e uno indipendentemente dall’altro.
Così arriva la condanna nel penale dei medici coinvolti e, grazie alla costituzione di parte civile, c’è anche il riconoscimento della provvisionale. «In quell’occasione – spiega il dottor N. – ci siamo ritrovati in una di quelle situazioni in cui saltano tutti i protocolli e le linee guida e poi, al momento della Ctu, viene rinfacciato al medico di non aver seguito pedissequamente le indicazioni».
Con questo peso sulle spalle, il dottor N. chiede all’azienda se provvederà a pagare la provvisionale al posto suo. D’altra parte, lui lavora per loro, non è un libero professionista. L’assicurazione che copre la struttura dovrebbe tutelare anche i suoi dipendenti. «Mi è stato risposto che era una questione mia, che la struttura non aveva niente a che fare con quel procedimento, e che non avrebbero pagato nulla. Avrei dovuto farlo io», spiega il dottor N. a Sanità Informazione. «È una cosa che mi ha amareggiato molto perché sono stato trattato come un libero professionista, un privato. Ma a saperlo, mi sarei tutelato come fanno tutti i privati, con una polizza assicurativa che mi garantiva anche in situazioni come questa. Mi aspettavo che l’azienda stesse dalla mia parte, dalla parte di un suo dipendente, ma non è stato così. Ma gli obblighi assicurativi dell’azienda nei confronti del dipendente, previsti dalla legge Gelli e dal contratto – si chiede –, dove sono finiti?».
In effetti l’azienda, seppur comportandosi in modo formalmente corretto, avrebbe tranquillamente potuto provvedere al pagamento della provvisionale (che altro non è che un anticipo del risarcimento) e, in caso di condanna definitiva del medico, provare a rivalersi su di lui per il potenziale danno all’erario. Ha invece scelto di prendere le distanze, lasciandolo sostanzialmente solo con i suoi problemi. «Ma un’azienda senza dipendenti, senza personale che effettua materialmente visite e interventi, non sta su. Non funziona, non esiste. Sarebbe dunque anche suo interesse proteggerli», dice il dottor N., che conclude: «Quando tutto va bene, dipendente e azienda vanno avanti tranquillamente l’uno al fianco dell’altra. Quando qualcosa va storto, l’azienda può sfilarsi. È successo a me, ma a quante decine di migliaia di colleghi che lavorano nelle strutture potrebbe accadere?».
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