Lo dimostra la ricerca scientifica dell’Harvad Medical School di Boston. Cecilia Taranto, Responsabile della Sanità nella Segreteria Nazionale FP CGIL: «Sono le donne che partendo da loro stesse, sanno e praticano il valore delle differenze. Eppure ancora poche di loro raggiungono ruoli apicali…»
Se il medico è donna il paziente risponde meglio alle cure. Non è lo slogan di un movimento femminista ma il risultato dello studio dell’Harvard Medical School di Boston, pubblicato in questi giorni sul Journal of American Medical Association e sul Jama Internal Medical. La ricerca, condotta su un campione di 1.583.028 pazienti over 65, rileva una diminuzione apprezzabile della mortalità del 4 per cento e di recidiva del 5 per cento in relazione a infezioni e polmoniti, quando il paziente viene seguito da un medico donna. La spiegazione è semplice: la donna risulta essere una migliore ascoltatrice, l’attenzione che dedica al paziente si ripercuote sia sulla sfera emotiva che fisica.
«C’è un valore anche nella cura, del riconoscimento delle differenze» interviene Cecilia Taranto, Responsabile della Sanità nella Segreteria Nazionale FP CGIL. «La medicina di genere è un patrimonio quasi esclusivamente femminile».
Non si tratta di fantasie, ma osservazioni scientifiche con solido fondamento, la dottoressa rispetto al dottore, tende a mettere al centro il paziente e a porgli più domande sia relative allo stato di salute che personali. Dunque, ne consegue che il quadro clinico del paziente, se stilato da una donna, risulta essere più completo. «La sensibilità delle donne è arrivata prima a questo approccio. Sono le donne che partendo da loro stesse, sanno e praticano il valore delle differenze».
Eppure, contrariamente alle aspettative, aumenta il numero delle donne medico ma diminuiscono i camici ‘rosa’ che ricoprono ruoli apicali. Infatti secondo un’analisi della Cgil Medici dal 2009 al 2014 le dottoresse sono aumentate di 2.242 unità passando da 41.896 a 44.138, ma negli ultimi cinque anni si è contratto il loro numero nei ruoli da primario. Oggi sono solo il 15% rispetto agli uomini.
«Il ‘tetto di cristallo’ agisce su tutte le professioni ed in particolare sulle professioni che per un lungo periodo di tempo sembravano appannaggio dei soli uomini – spiega Cecilia Taranto -. Questa è, anche se solo in parte, la ragione delle apicalità. C’è da dire infatti che si diventa primari spesso solo dopo i 50 anni e tra i medici con maggiore anzianità, la prevalenza è nettamente maschile. Altra regione è l’enorme situazione di difficoltà in cui versa il settore nei turni massacranti. Questo fatto, che è la diretta conseguenza delle politiche sanitarie nazionali del Governo attuale e di quelli precedenti, penalizza in particolare le donne e la loro possibilità di essere al tempo stesso soggetti di cura dei pazienti e della propria famiglia. Io credo che per cercare di cambiare le cose – conclude – occorre rompere il tetto di cristallo per permettere alle donne e alle loro competenze di potersi dispiegare e di venire riconosciute. Per fare questo occorre riconoscere a tutti gli operatori sanitari il diritto di discutere della organizzazione del lavoro».