Lavoro e Professioni 22 Dicembre 2021 10:07

Migrazione sanitaria, l’allarme di Anaao-Assomed: «A breve sarà un problema di sanità pubblica»

Liste d’attesa e viaggi della speranza da Sud a Nord esplosi con la pandemia. La recrudescenza di una criticità storica

La migrazione sanitaria, complice l’avvento della pandemia, rischia nel breve periodo, a meno di poderose riforme del sistema, di diventare un problema di salute pubblica. È la conclusione a cui sono giunti, dopo un accurato studio di comparazione dati alla mano, il dottor Maurizio Cappiello, Direttivo nazionale Anaao Assomed e il dottor Pierino di Silverio, responsabile nazionale Giovani Anaao Assomed.

Ma andiamo con ordine: il fenomeno della migrazione sanitaria dei cittadini del Sud Italia ha origini lontane, dal secondo dopoguerra che lascia un paese stremato, un sistema sanitario a pezzi, e la salute degli italiani a rischio, senza tutele e garanzie. E soprattutto nel Sud del Paese la gestione degli aspetti sanitari, relativamente alla prevenzione e alla cura di malattie non solo infettive, risultava particolarmente difficile a causa delle devastazioni infrastrutturali conseguenti ai bombardamenti.

La nascita della Costituzione nel 1947, che al suo articolo 32 sancisce il fondamentale diritto alla salute, rappresenta una pietra miliare, così come la Riforma Sanitaria del 1978 che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale. E se da un lato la nuova garanzia per i cittadini di esercitare il diritto di cure in strutture sanitarie di Regioni diverse da quelle di residenza rappresenta un’inedita conquista sociale, al contempo presta il fianco al fenomeno della migrazione sanitaria interregionale dovuta alla disparità di offerta assistenziale tra le regioni del Sud e quelle del Nord del Paese.

La parola chiave: i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)

«I LEA rappresentano contemporaneamente le cure minime che ogni cittadino dovrebbe poter ricevere nella propria Regione di residenza, e tutte quelle cure che invece, soprattutto nelle regioni meridionali, non sono oggi assicurate appieno ai cittadini del Sud – affermano Cappiello e Di Silverio -. Il termine LEA presenta però un’accezione anche economica, infatti, secondo la perequazione nazionale (distribuzione del Fondo Sanitario Nazionale), le regioni che non possono assicurare i LEA non ricevono incentivi. Ed è così che il Sud – continuano i dottori – per decenni luogo di carenza di investimenti economici e politici, si è ritrovato, in diverse realtà, a sostenere il peso di piani di rientro economici che hanno aggravato una condizione già precaria».

Oggi le maggiori criticità si riscontrano in Campania, Calabria, Molise e Sicilia con un aggiornamento per le regioni in piano di rientro, o che sono state in piano di rientro, che risale ad Aprile 2019 da parte dei tavoli congiunti del Comitato LEA e del tavolo adempimenti presso il Ministero dell’Economia e finanza.

I numeri del problema

«In Campania abbiamo 3,13 posti letto ogni 1000 abitanti – spiega Cappiello – contro quello che viene invece previsto dal decreto ministeriale 70/2015 che stabilisce che il numero di posti letto debbano essere almeno 3,7 posti letto ogni 1000 abitanti. Questo si traduce in oltre 1600 posti letto in meno rispetto al fabbisogno assistenziale della Regione. Questo è altamente impattante, perché avendo una difficoltà oggettiva a ricoverare i nostri malati si allungano le liste d’attesa e spesso si è costretti o a rivolgersi al privato o a fare i cosiddetti viaggi della speranza nelle regioni del Nord Italia, e questo ha un costo, che nel 2019 è stato stimato in 318 milioni di euro. Pensiamo a come questi soldi si sarebbero potuti investire in regione Campania, se questa non avesse dovuto pagare queste prestazioni erogate in altre Regioni, per lo più Veneto, Emilia Romagna e Lombardia (non a caso quelle che hanno chiesto l’autonomia differenziata) e/o in strutture private».

L’impatto presente e futuro della pandemia Covid-19

«Con la pandemia questo problema si è esasperato – prosegue Cappiello – a causa della necessità di creare più posti di terapia intensiva e sub-intensiva, sottratti ai posti ordinari. Noi avevamo una media di 8,4 posti letto in terapia intensiva ogni 100mila abitanti, siamo arrivati a 14 posti letto ogni 100mila abitanti. Il punto è che il numero complessivo di posti letto è sempre lo stesso. Abbiamo potenziato un settore in quanto c’era necessità imminente, ma per farlo abbiamo indebolito l’offerta assistenziale per le altre patologie. Da qui – conclude – l’esasperazione del fenomeno della migrazione sanitaria, che nei prossimi anni diventerà un problema di sanità pubblica».

I fondi del PNRR: tanto rumore per nulla?

«Il PNRR è un’occasione più unica che rara per correggere il tiro una volta per tutte – commenta Di Silverio -. Eppure, per quello che abbiamo visto del programma proposto dall’Italia ci sono inevitabilmente dei bias. Questi fondi sono perlopiù destinati ad una integrazione, per carità sacrosanta, della sanità territoriale. Non abbiamo invece visto grandi progetti per la sanità pubblica ma soprattutto non abbiamo visto grandi investimenti per il personale. Al di là dei proclami, che durano da un anno e mezzo, sulla imprescindibilità ed eroicità del personale sanitario di fatto ad oggi abbiamo solo i due miliardi destinati sostanzialmente al rinnovo dei contratti. Si è parlato – prosegue – di voler implementare le strutture ospedaliere con posti letto, personale qualificato, finanche psichiatri, psicologi, ma in sostanza tutto questo ad oggi non è stato giustificato con un incremento economico che possa permetterne la realizzazione. I fondi del PNRR sono prettamente di tipo infrastrutturale, ma non possiamo rischiare di creare torri d’avorio senza personale. Ed è proprio la carenza di personale – conclude Di Silverio – il nostro problema primario».

 

 

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