ICPA, cosa sono e cosa bisogna sapere per poterle combattere con un approccio multiprofessionale
Il tema delle infezioni correlate all’assistenza o, più correttamente, alle procedure assistenziali, ha visto una violenta accelerazione durante la pandemia tuttora in corso. Eppure, già dal 1970 il noto CDC di Atlanta definiva le prime raccomandazioni relative alla prevenzione della trasmissione di agenti infettivi. Il documento faceva riferimento alla implementazione di un sistema di isolamento per categorie di utenti: a seconda della classificazione di appartenenza, venivano raccomandate alcune precauzioni funzionali alla prevenzione della trasmissione delle infezioni stesse.
L’ambito si ampliò sempre di più e nel 1996 lo stesso Centers for Disease Control and Prevention dovette rivedere ed ampliare le strategie preventive. Nacquero così le precauzioni standard ed aggiuntive, rispettivamente le misure da adottare per l’assistenza di tutti i pazienti e misure ulteriori da utilizzare durante particolari attività assistenziali. Anche la stessa definizione di infezioni correlate all’assistenza, ha dovuto ampliare ed estendere il proprio raggio d’azione, tanto che, come scritto in precedenza, oggi si parla di infezioni correlate alle procedure assistenziali (ICPA), ovvero acquisite in ospedale o in altri ambiti assistenziali (strutture residenziali, ambulatorio, centro dialisi, day-surgery, domicilio). E per definire una ICPA è necessario che essa si presenti:
I soggetti più a rischio sono senz’altro gli anziani; in particolare una review del 2021 (Epidemiology and prevention of healthcare-associated infections in geriatric patient: a narrative review – M.L. Cristina et all.) attribuisce una prevalenza dell’11,5% a pazienti di età superiore ad 85 anni, mentre tale percentuale scende al 7,4 nei soggetti di età inferiore ai 65 anni. Nei contesti per acuti ogni giorno un paziente su 15 presenta almeno un’infezione, e tale rapporto diventa da 1 a 26 nelle strutture sanitarie non per acuti. Ciò equivale a dire che ogni giorno 98.000 pazienti ricoverati negli ospedali per acuti e 130.000 tra quelli gestiti nelle strutture di assistenza a lungo termine sono affetti da almeno una ICPA (fonte ECDC 2019).
In virtù di quanto affermato finora è doveroso considerare la lotta alle ICPA come una responsabilità condivisa fra tutti gli operatori sanitari e gli stakeholders che a vario titolo orbitano nel mondo sanitario e sociosanitario. Ed a proposito di condivisione, multiprofessionalità e, a breve formazione, utile è citare un lavoro di Christine Boev e Yinglin Xia – Nurse Physician collaboration and hospital acquired infections in Critical Care, pubblicato sulla rivista Critical Care Nurse nel 2015. La base di partenza di questo lavoro di ricerca consisteva nella analisi di un precedente studio risalente al 2007, a cura di Kevens, Edwards e Richards (Estimating health care associated infections and deaths in US hospitals), documento che ha evidenziato come le polmoniti associate alla ventilazione (VAP) contribuiscono a 35967 decessi/anno, mentre le CLABSI (infezioni associate a cateterismo vascolare) sono responsabili di 30665 decessi/anno. Ebbene, attraverso una osservazione sulla percezione degli infermieri rispetto alla collaborazione con i medici, il progetto di ricerca di Boev e Xia ha dimostrato che il legame professionale proattivo “medico-infermiere” contribuisce ad una riduzione del tasso di infezioni del catetere vascolare pari a 2,98 punti percentuale, mentre in relazione alla prevenzione delle VAP la diminuzione è pari ad 1,13 punti percentuale. Ciò dimostra come l’approccio multiprofessionale ed il lavorare in team permettono il miglioramento della sicurezza dei pazienti e di riflesso una riduzione del numero delle ICPA.
Quanto detto finora deve senz’altro spingerci, qualora fosse necessario, ad aggiornare le nostre conoscenze sul delicato ed articolato tema delle infezioni correlate alle procedure assistenziali, in modo da contribuire ad una riduzione del numero delle infezioni stesse. E se volessimo operare nella più corretta modalità preventiva diverrebbe improcrastinabile calendarizzare momenti formativi, a partire dai corsi di laurea. Non a caso, a conclusione del presente articolo, citiamo un lavoro pubblicato nel 2018 a cura di Turan, Mankan e Cengiz (Nursing students levels of knowledge in the prevention of intravascular catheter infections) nel quale si sottolinea l’importanza della formazione che si trasforma in un modus operandi già prima di iniziare la professione infermieristica.
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato