Parla Alessandra Lo Balbo, tra i promotori del Comitato No Enpaf: «Ci siamo ritrovati grazie ai social ma anche grazie a una manifestazione. È tempo che le cose cambino». Le quote da versare alla cassa sono uguali per tutti, titolari e dipendenti, ma si può richiedere una riduzione. In Parlamento giace un disegno di legge della dem Chiara Gribaudo che, tra le altre cose, introduce aliquote contributive legate al reddito
«È una battaglia che stiamo portando avanti per le nuove generazioni. Non stiamo chiedendo un privilegio, ma un trattamento di uguaglianza e di giustizia». È determinata la farmacista Alessandra Lo Balbo, una delle promotrici del “Comitato No Enpaf”, gruppo spontaneo di farmacisti che chiede di rivedere il sistema di contribuzione alla cassa pensionistica di categoria.
La battaglia ha fatto presa tra i farmacisti, tanto che la petizione online ha raggiunto le 5400 firme. La questione, ripresa anche da un articolo del Sole 24 Ore, è oggetto di un disegno di legge, quello della deputata Chiara Gribaudo del Pd, intitolato “Disposizioni concernenti il regime previdenziale dei farmacisti”. La proposta ha tre obiettivi: l’abolizione per legge dell’obbligo contributivo Enpaf per coloro che hanno già una previdenza di primo pilastro e per i disoccupati; l’introduzione di aliquote contributive legate al reddito; la convergenza dei contributi già versati dai farmacisti che potrebbero optare per la cancellazione dall’ente.
«Nel 1946, quando è entrata in vigore la legge istitutiva dell’Enpaf i farmacisti erano pochi e chi lo faceva era perché titolare di una farmacia e la tramandava di generazione in generazione – spiega Lo Balbo a Sanità Informazione -. Adesso la situazione è diversa: siamo un esercito di dipendenti con meno titolari soprattutto nelle grandi città dove sono poche le farmacie di famiglia e ci sono grandi gruppi che hanno più farmacie».
Lo Balbo e il Comitato contestano che i farmacisti iscritti all’albo debbano automaticamente essere costretti a pagare una seconda previdenza obbligatoria, quella dell’ENPAF, Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Farmacisti, come prescrive la legge del 1946. Un anacronismo che sta mettendo in seria difficoltà tanti farmacisti, soprattutto i più giovani. Persino i neolaureati devono pagare: si iscrivono all’albo per trovare lavoro e per partecipare ai concorsi ma non essendo in quel momento dipendenti non possono ottenere la riduzione.
«Una volta che ci si iscrive all’Albo e all’Enpaf la quota di iscrizione è uguale per tutti (4.500 euro l’anno circa), non c’è distinzione tra titolari, liberi professionisti e dipendenti né la quota cambia in base al reddito – continua Lo Balbo -. C’è la possibilità di chiedere delle riduzioni, però solo per i dipendenti e per i disoccupati. Però questa possibilità è dettata da dei farraginosi regolamenti interni dell’Enpaf e non tutti possono accedere a questo tipo di riduzione».
Un’altra particolarità è che anche i disoccupati iscritti all’Ordine, sono chiamati a pagare la cassa previdenziale. «Hanno la possibilità di pagare per cinque anni una quota ridotta – spiega Lo Balbo -. Però se lo stato di disoccupazione si prolunga oltre i cinque anni il disoccupato senza reddito, se rimane iscritto all’albo, è costretto a pagare all’Enpaf la cifra di 2300 euro all’anno. Diversamente, se il farmacista non è in regola con il pagamento dei contributi, interviene l’Agenzia delle Entrate».
Sul web il malcontento ha unito tanti farmacisti insoddisfatti che si sono così ritrovati nel Comitato No Enpaf. «È un comitato spontaneo, fatto da farmacisti dipendenti ma anche disoccupati di tutta Italia – continua Lo Balbo -. Ci siamo ritrovati grazie ai social ma anche grazie a una manifestazione che c’è stata nel 2019, prima di realizzarne una più grande nel 2020. L’onorevole Gribaudo ha accolto il nostro grido di aiuto e grazie a lei abbiamo potuto elaborare questa proposta di legge che è stata presentata a luglio 2021 ma purtroppo ancora oggi non è stata calendarizzata in commissione Lavoro della Camera. La petizione nasce per cercare di sensibilizzare sia i componenti della commissione Lavoro che il ministro del Lavoro per far sì che questa proposta di legge possa proseguire il suo iter».
Spiccano le differenze con le altre casse previdenziali di professioni sanitarie e non, perché la quasi totalità di queste sono ad esclusivo uso dei liberi professionisti e non dei dipendenti. «Questa è un’anomalia che per noi costituisce un motivo di discriminazione» spiega Lo Balbo. «Inoltre – denuncia Lo Balbo – la pensione Enpaf ha il problema che a fronte di quanto si versa negli anni ha un ritorno economico irrisorio. L’altra cosa assurda è che in Enpaf bisogna pagare per 30 anni di cui 20 di attività professionale per avere la pensione. Il che significa che se, per assurdo, si versa ad esempio per 25 anni non si prende nulla, e si perde quanto versato nel tempo. Si tratta di un requisito temporale troppo alto per l’attuale mercato del lavoro». «Non vogliamo che Enpaf crolli, né siamo contro l’Enpaf – chiarisce Lo Balbo -. Ma vogliamo che i lavoratori dipendenti non debbano più obbligatoriamente versare contributi, spesso a fondo perduto: chiediamo libertà di scelta».
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