Clima teso tra l’amministrazione e la dirigenza medica: domani lo sciopero indetto dall’ANMIRS. Nonostante i licenziamenti, gli stipendi non pagati per mesi e le condizioni lavorative sempre più critiche, i medici hanno continuato a lavorare per il bene dei pazienti
Licenziamenti operati dall’amministrazione straordinaria e stipendi non pagati per mesi da parte della Congregazione; condizioni lavorative sempre più critiche e continui sacrifici economici per i medici; la disdetta del Contratto Collettivo di lavoro il giorno della vigilia di Natale.
È in questo clima di incertezza e forte tensione tra la dirigenza medica e l’amministrazione dell’Ospedale IDI di Roma (gestito dalla Fondazione Luigi Maria Monti) che ANMIRS, l’Associazione Nazionale Medici Istituti Religiosi Spedalieri, ha dichiarato lo sciopero di domani mercoledì 8 gennaio per porre l’attenzione su «una situazione ferma da tempo e altrettanto sottovalutata, specie in relazione alle condizioni lavorative dei propri medici dipendenti».
«L’Ospedale IDI di Roma – spiega l‘ANMIRS in una nota – rappresenta una delle eccellenze nel panorama della dermatologia italiana ma vive da anni una condizione di forte criticità dovuta prima di tutto alle condizioni economiche fortemente compromesse, per risanare le quali sono stati negli ultimi anni proprio i medici dipendenti a farsi carico di sacrifici, decurtazioni e canoni contrattuali sempre più svantaggiosi».
Ma i medici non hanno smesso di lavorare «nemmeno un giorno, garantendo di fatto ai nostri pazienti tutte le cure e le attenzioni proprie non solo nella nostra professione ma ancor prima di un dovere umano, morale e deontologico» sottolinea il dottor Alessandro Monopoli, responsabile dell’Unità operativa semplice Linfomi cutanei e segretario ANMIRS Italia centrale e Roma sezione IDI.
«Le strutture dell’IDI e dell’Ospedale Villa Paola di Capranica, infatti, dal 2018 sono sotto un accordo quadro di programmazione che prevede un consistente obolo, una solidarietà (dal 9,20% fino anche al 20%) elargita dagli stessi dipendenti decurtata dai propri stipendi al fine di contribuire al risanamento delle casse amministrative pur mantenendo orario di lavoro pieno. Un sacrificio che sembra comunque aver portato i suoi frutti quando alla fine di quell’anno si dichiara di aver raggiunto il pareggio di bilancio prevedendo addirittura un certo utile per il successivo 2019 e la promessa della presentazione da parte dell’amministrazione di un piano strategico appositamente finalizzato al rilancio organizzativo dell’ospedale».
«Tuttavia, lì dove non sembra più esserci la necessità della prosecuzione di tale solidarietà economica, inizia a essere molto difficile (tra mancate risposte e richieste di incontri) chiarire con chi di dovere la ridefinizione di un nuovo accordo, all’interno di un clima molto difficile».
«L’odissea contrattuale – fa sapere l’ANMIRS – prosegue tra assemblee accese e tentativi di dialogo sempre più fallimentari. A detta dell’amministrazione, continuano a permanere ancora ingenti debiti pregressi da saldare ed è quindi necessario operare nuovi e più pesanti tagli al costo del personale, e ciò con particolare riferimento al costo dei dirigenti medici ai quali lo scorso 24 dicembre, giorno della vigilia di Natale, è stata recapitata da parte della Fondazione la comunicazione formale della disdetta del Contratto Collettivo di lavoro applicato ossia quello dell’Ospedalità Religiosa (ARIS- ANMIRS) che verrebbe sostituito dalla fine di gennaio 2020 dal Contratto Collettivo delle Case Di Cura Private».
«Tale contratto – prosegue l’ANMIRS – non sarebbe comunque applicabile poiché l’ospedale, per effetto della così detta Legge Bindi (D.Lgs. 229/99 Art. 15 undeces), essendo Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico sarebbe comunque equiparato. Inoltre i nostri medici hanno già effettuato un concorso per farsi riconoscere proprio tale equiparazione, titolo che sarebbe perso con il passaggio al profit».
«Tale comunicazione ricevuta in modo così inopportuno lo scorso 24 dicembre rappresenta poi un vero e proprio aut-aut» commenta il segretario nazionale ANMIRS Donato Menichella.
«Tralasciando l’aspetto formale, che a nostro modo di vedere è comunque gravissimo e che vede una istituzione come la Fondazione Luigi Maria Monti nata come una emanazione della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, rinnegare la sua natura evidentemente e innegabilmente religiosa, professandosi laica come qualunque altro gruppo “profit” che opera nell’ambito della sanità italiana – continua Menichella – e sorvolando sull’inopportunità e l’indelicatezza di provvedere a tale comunicazione in un giorno festivo così significativo soprattutto per un ente religioso, non posso che esprimere seria e accorata preoccupazione per il futuro che si prospetta ora per gli ospedali del polo IDI e per il destino sempre più incerto e ingiustamente indefinito dei suoi lavoratori, che hanno dimostrato al contrario in tutti questi anni di difficoltà un’ammirevole professionalità e spirito di sacrificio impegnandosi prima di tutto nella cura e nel rispetto dei propri pazienti affinché non fossero questi ultimi a pagare ingiustamente le colpe di scelte di gestione così discutibili».
«Lo sciopero di domani ha un valore molto importante e rappresenta una scelta specifica per far valere i nostri diritti di lavoratori e porre l’attenzione su una questione che ci vede ormai allo stremo delle forze – continua il Dottor Monopoli –. Prima gli stipendi non pagati per mesi, poi i licenziamenti di 13 colleghi operati dall’amministrazione straordinaria al momento del passaggio alla Fondazione, a seguire i nostri ripetuti sacrifici economici e il clima sempre più ostile in cui esercitare la nostra professione. Lì dove a dispetto di tutto non è mai mancato l’impegno di noi medici, il buon funzionamento non è stato mai evidenziato».
«Continuare a colpire i medici (nel momento oltretutto in cui si stanno finalmente applicando nuovi contratti con miglioramenti economici sia nel pubblico sia nelle altre strutture religiose equiparate) non aumenterà la produttività dell’ospedale e produrrà certamente come principale conseguenza un grande svantaggio prima di tutto per i pazienti. Allo stesso modo, il rilancio di questa eccellenza ospedaliera non può e non deve passare per lo strumento finanziario del cambio del contratto collettivo, di fatto inutile e poco efficace negli effetti diretti per all’amministrazione stessa mentre al contrario drasticamente sfavorevole e ancor più vessatorio per noi medici. Si tratta di oltre un centinaio di posti di lavoro, non dimentichiamolo» conclude Monopoli.