Quota 100: il servizio pubblico potrebbe perdere di colpo oltre 22.000 infermieri, mentre almeno 75.000 rientrerebbero nei parametri per accelerare il pensionamento. Il dato, calcolato in base agli anni di anzianità lavorativa e all’età anagrafica degli infermieri dipendenti del Ssn, è stato elaborato dal Centro studi della Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) – la più numerosa d’Italia con oltre 450mila iscritti – ed è riferito alla situazione a fine 2018.
«Chi esce dalla professione attiva per ‘Quota 100’ – dichiara Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI – deve essere subito rimpiazzato, al di là dell’economia e della politica. Anche il blocco del turn over va ovviamente superato e le carenze gravissime attuali devono essere coperte, ma è assolutamente impensabile indebolire a questo punto i servizi e farlo per di più a maggior danno proprio del territorio, dove personale e servizi sono più scarsi e gli assistiti sono più fragili perché caratterizzati da forme di cronicità, età il più delle volte avanzata e spesso non autosufficienza. Il nostro allarme indicava già che seguendo il trend attuale di turn over e di fabbisogno di professionisti, si sarebbe raggiunta nel 2021 una carenza di quasi 64mila unità, oggi di 51-53mila infermieri. Ma ora la situazione è in picchiata e i quasi 75mila infermieri che verrebbero a mancare – 22mila da subito – rappresentano un pericolo reale e immediato per assistenza, servizi e soprattutto pazienti: il sistema non funziona senza infermieri e con 76mila in meno è al collasso annunciato».
«Il rapporto numerico infermieri pazienti era già ai limiti del rischio prima di ‘quota 100’ – spiega Tonino Aceti, portavoce FNOPI – ma ora con questa ulteriore emorragia di professionisti la situazione si aggrava. Se studi internazionali, Oms e Ocse hanno spiegato ampiamente che riducendo il numero di pazienti assistiti da un infermiere (il numero ideale per abbattere la mortalità del 20% sarebbe 1:6) l’assistenza migliora la sua qualità e si riduce il rischio, ora con la fuoriuscita di oltre 20mila infermieri i numeri salgono. In alcune Regioni, quelle più colpite dai piani di rientro e quindi dal blocco del turn over, il rapporto sale alle stelle: in Campania ad esempio, se con la carenza di oltre 50mila infermieri il rapporto era già 1:17, ora si rischia di sfiorare l’1:19-20. Inoltre, più del 36% delle nuove fuoriuscite dal sistema avverranno nelle Regioni in piano di rientro, già gravemente colpite dal blocco del turn over e il 61% delle nuove carenze è nelle Regioni che dal nuovo sistema di monitoraggio del Livelli essenziali di assistenza risultano inadempienti. Il combinato disposto tra l’attuazione di ‘Quota 100’, il mancato superamento del tetto di spesa per il personale sanitario e il blocco del turnover, rischia di essere la formula perfetta per “mandare in pensione” anche il Servizio sanitario pubblico. Se non si adotteranno immediate e profonde contromisure a collassare sempre di più saranno i Livelli essenziali di assistenza già in forte difficoltà e si rafforzeranno le disuguaglianze. Aumenteranno le liste di attesa e le difficoltà di accesso alle cure da parte della popolazione soprattutto delle Regioni in Piano di rientro, aumenterà la conseguente necessità di ricorrere al privato magari utilizzando le risorse derivanti dal reddito di cittadinanza, per chi lo prenderà. Ora servono senso di responsabilità e azioni concrete per far fronte all’emorragia di personale che si realizzerà nel nostro Ssn».
‘Quota 100’ da fine 2018 è stata teoricamente raggiunta da 75.000 infermieri, il 28% di quelli dipendenti dal Ssn (ma nei prossimi anni senza sblocchi del turn over la cifra è destinata drasticamente a salire ben oltre le 100mila unità e in un triennio si potrebbe superare quota 130mila), sia perché la professione infermieristica inizia presto (la laurea abilitante è quella triennale) e quindi si cumulano più anni di servizio, sia perché i blocchi del turn over ormai decennali hanno innalzato l’età della categoria che tra i dipendenti raggiunge una media di 53 anni, con punte fino a 55,9 in Campania, dove il blocco del turn over è più duro per ragioni economiche, e situazioni più leggere in Trentino Alto Adige con la media di età Ssn di 49,4 anni (le Regioni a statuto speciale non sono sottoposte ai vincoli del blocco del turn over).
Ovviamente non tutti opteranno per “Quota 100”: si può considerare che data la lunga permanenza in servizio e gli stipendi mediamente non alti (nel Ssn sono in media di 31-32mila euro/anno), circa il 30% medio di chi possiede i requisiti scelga questa possibilità. Si tratta quindi di 22.360 infermieri che potrebbero a breve – da subito: in un solo anno – abbandonare il servizio con un danno fortissimo per l’assistenza, aggiungendosi ai circa 11.500 che hanno raggiunto il limite di età per la pensione.
Oltre a sommarsi alla carenza ormai appurata di professionisti infermieri calcolata tra 51-53mila unità, portando il totale a circa 75 mila unità (senza contare i pensionandi naturali che sarebbero comunque stati presenti), gli infermieri maggiormente interessati da “Quota 100” sono evidentemente quelli con età lavorative maggiori e, quindi, con maggiore esperienza e sono ancora quelli che le aziende inviano di preferenza sul territorio per mantenere ad alti livelli il rapporto diretto umano e clinico con il paziente, per un’assistenza domiciliare già scarsa di per se, ma che ora rischia una crisi irreversibile.