Ad agosto le prime uscite dei dipendenti pubblici con 62 anni di età e 38 di contributi. Secondo i sindacati, saranno circa mille i medici che ogni anno approfitteranno della riforma pensionistica, contribuendo quindi ad aggravare la carenza di specialisti. In Legge di Bilancio, poi, i tagli dal 15% al 40% alle pensioni più alte. Ma il vicepresidente dell’Enpam Giovanni Malagnino tranquillizza i medici…
Sono i provvedimenti vessillo della Lega, quelli che riguardano le pensioni. In particolare, quota 100 consentirà a chi ha maturato a fine 2018 almeno 62 anni di età e 38 di contributi di andare in pensione anticipata. La platea che potrebbe beneficiare della misura è di circa 315mila persone, e tra queste ci sono anche medici. I sindacati dei camici bianchi sottolineano che la riforma pensionistica non avrà un grosso impatto sulle uscite già previste con la legge Fornero, ma piuttosto un effetto di accelerazione: andrà in pensione il 10-15% dei medici e, quindi, invece di avere 7mila uscite l’anno, verosimilmente ne avremmo 8mila.
Dati confermati anche dall’Enpam, secondo cui l’impatto di quota 100 sui camici bianchi iscritti alla cassa previdenziale dei medici sarà «molto basso». È questa la previsione del vicepresidente Enpam Giovanni Malagnino, che abbiamo incontrato al sit-in organizzato dall’intersindacale davanti al ministero della Pubblica Amministrazione, dove ha voluto «portare la solidarietà dell’Enpam ai colleghi ospedalieri e del territorio che si stanno battendo per sostenere il Sistema sanitario nazionale in un momento in cui si sta cercando di bloccarlo in tutti i modi».
E tra gli ostacoli e le difficoltà che il SSN sta affrontando c’è anche la grave carenza di specialisti che sta svuotando le corsie degli ospedali. Una situazione che, come denunciato più volte da diverse voci, rischia di aggravarsi ulteriormente con quota 100. Perché se la misura «non avrà un riflesso sugli iscritti all’Enpam» – come sottolineato da Malagnino, il mondo ospedaliero «potrebbe approfittarne».
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Chi infatti ha vissuto per più di 38 anni la vita ospedaliera, con i turni massacranti che la contraddistinguono e le guardie e le notti e il mancato rispetto dei riposi e delle ferie e, ancora, lo stress e il burnout e la sospensione a tempo indeterminato di qualsiasi attività extra-lavorativa, non può che guardare con favore all’idea di andare in pensione un po’ prima. Anche rinunciando ad un assegno pensionistico un po’ più alto, considerato che la pensione di chi aderisce a quota 100 sarà tagliata, a seconda dei casi, tra il 5% ed il 30%. «Qualche ospedaliero potrebbe approfittarne perché è stanco e non ce la fa più a stare in ospedale», commenta Malagnino.
A detta del vicepresidente Enpam, però, la misura presenta una «grossa limitazione»: per 5 anni, infatti, non si potranno cumulare altri redditi superiori ai 5mila euro oltre a quello pensionistico. «Non si capisce perché – continua il vicepresidente dell’Enpam – a 62 anni non si potrà lavorare e poi, a 68, si potrà ricominciare. È francamente una cosa di difficile comprensione».
Per i dipendenti pubblici, la finestra di uscita è semestrale e i primi pensionamenti con quota 100 saranno ad agosto. «Ma la Legge prevede che prima di novembre non si possano assumere nuovi medici, quando negli ospedali e sul territorio c’è già una grave carenza di professionisti – prosegue Malagnino -. Quindi se quota 100 fosse utile per inserire subito giovani nel mondo ospedaliero, potrebbe anche essere una cosa opportuna, ma così non è».
Chi è già in pensione, invece, rischia il taglio dell’assegno. La Legge di Bilancio prevede infatti un contributo del 15% per i redditi tra 100mila e 130mila euro, del 25% per i redditi tra 130.001 e 200mila euro, del 30% per i redditi tra 200.001 e 350mila euro, del 35% per i redditi tra 350.001 e 500mila euro e del 40% per quelli superiori a 500mila euro.
Anche in questo caso, però, Malagnino rassicura i medici Enpam: «Il taglio delle pensioni d’oro non riguarda le casse di previdenza privatizzate, quindi noi siamo esplicitamente esclusi e siamo abbastanza sereni. Le nostre pensioni, ad ogni modo, non sono considerate d’oro perché molto difficilmente superano i 4mila euro netti al mese. E poi – conclude il vicepresidente della cassa previdenziale – chi ha versato si riprende i suoi soldi. Niente di più, niente di meno».