Il Presidente della Fondazione Italia in Salute fa un bilancio di cosa è cambiato dall’approvazione della legge sulla responsabilità professionale ad oggi e spiega come dovrà cambiare il sistema alla luce delle risorse in arrivo con il PNRR
Cosa è cambiato a cinque anni dalla Legge 24 del 2017 (cd. Legge Gelli-Bianco) sulla responsabilità professionale? Se ne è parlato di recente durante la presentazione del volume “Responsabilità, rischio e danno in sanità – La sicurezza delle cure dopo la pandemia di Covid-19”, curato da Federico Gelli e da Maurizio Hazan, insieme a Daniela Zorzit e Fidelia Cascini (edito da Giuffrè in collaborazione con Fondazione Italia in Salute), dedicato proprio a un’analisi critica e aggiornata della legge 24 del 2017. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Maurizio Hazan, attuale Presidente della Fondazione Italia in Salute.
«Abbiamo colto l’occasione di poter avvantaggiarci di penne straordinarie e dei commenti di autori illustrissimi che hanno contribuito alla scrittura del volume e che ci danno quindi una lettura e una visione aggiornate e ampie di quello che è oggi lo stato dell’arte a 5 anni dall’emanazione della norma. Era opportuno fare una riflessione anche perché la norma, al di là delle difficoltà ad andare davvero e definitivamente a regime, è una norma molto ambiziosa, rotonda e importante e che ovviamente richiede tanti passaggi per arrivare ad un’applicazione pratica. Ma alcuni effetti fondamentali li ha già prodotti. A mio parere, la lezione principale che la Legge Gelli ha dato sul versante della responsabilità sanitaria è che occorreva arretrare un po’ il fronte della responsabilità e del risarcimento per dare sostenibilità al sistema. Credo che la giurisprudenza abbia mutato alcuni orientamenti precedenti, anche molto importanti. Ciò sottintende, evidentemente, l’insegnamento dato dalla legge, che è quello di cercare una quadratura: meno “inquisizione”, più alleanza. Senza però per questo deresponsabilizzare».
«Occorrono delle riflessioni importanti perché il rischio cambia. Cambiano le relazioni, cambiano le comunicazioni, ci si trova di fronte a scenari che sono ovviamente in totale evoluzione. È difficile da prevedere cosa succederà ma i principi sono quelli che noi conosciamo. Ovviamente bisogna calarli in una realtà che è completamente cambiata e che sta cambiando in termini di velocità, di digitalizzazione e quant’altro. Ovviamente, tutto questo comporta dei cambi di passo: vuoi nella comunicazione o vuoi nella capacità e nella competenza di poter maneggiare degli strumenti che sono obiettivamente nuovi. Sotto il fronte della responsabilità, però, è tutto da esplorare. Gli attori sono più numerosi, le possibili responsabilità incrociate sono tante, la cooperazione dei pazienti alla buona riuscita di un sistema di medicina di prossimità, a distanza, nel territorio, e che alleggerirebbe di molto il sistema in generale, è tutto da indagare. Però è una sfida che con il tempo verrà vinta. Credo che i principi di fondo resteranno gli stessi ma dovranno essere semplicemente adeguati alla realtà che muta. Colgo l’occasione per dire che una parte della norma che manca, rispetto ad esempio al suo antesignano francese, è qualcosa che la pandemia ci ha spinto a vedere con una certa urgenza, ovvero la responsabilità professionale connessa a determinate situazioni che sono sostanzialmente aleatorie».
«I vaccini e gli eventi avversi ad essi collegati. Oggi, anche se i vaccini non sono obbligatori, se danno luogo a delle complicanze o eventi avversi vengono indennizzati attraverso il fondo, a meno che non vengono dimostrate responsabilità maggiori. Ecco, l’area terapeutica che in Francia conosce un fondo ad hoc e che comprende anche tutte le questioni legate a situazioni, come dire, fuori dall’ordinario, è un qualcosa che manca nella nostra norma. Credo che si debba fare uno sforzo in questo senso per alleggerire ulteriormente il costo della responsabilità e mutualizzarlo, “socializzarlo”. Bisogna dunque trovare, ancora una volta, una quadratura più armonica del sistema».
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