Rossetto (FLI): «I logopedisti hanno risposto all’emergenza con la pubblicazione di linee guida e l’implemento della tele-riabilitazione. La nostra professione è ai primi posti nella scelta delle giovani matricole tra le 22 professioni sanitarie. Ma i neolaureati non bastano a colmare il divario con gli altri Paesi»
Si chiama disfagia ed è il termine utilizzato in medicina per definire la difficoltà di passaggio del cibo e delle bevande dalla bocca fino allo stomaco. Un disturbo a causa del quale, durante la pandemia da Covid-19, le richieste di intervento logopedico sono aumentate del 30%. Il dato è emerso dal primo “Libro Bianco della Logopedia”, curato dalla Federazione Italiana Logopedisti (FLI) e realizzato dalla società di ricerche demoscopiche Datanalysis.
«Molti dei pazienti che affrontano un ricovero, più o meno lungo, in terapia intensiva hanno la necessità di seguire un percorso di riabilitazione per riacquisire alcune capacità primarie come parlare, deglutire o mangiare correttamente – spiega la presidente della FLI, Tiziana Rossetto -. L’intubazione prolungata, infatti, può avere conseguenze sia sulla fonazione che sulla deglutizione, due specifici campi di competenza della nostra professione».
All’aumento della domanda di cura non è corrisposto un adeguamento del numero di professionisti: «In Italia – continua Rossetto – mancano 10 mila logopedisti all’appello, rispetto alla media europea. Disponiamo di circa 15 mila specialisti, 24 ogni 100 mila abitanti, contro una media europea di 40 per 100 mila». Anche questo paradosso è emerso dal “Libro Bianco della Logopedia” realizzato con il coinvolgimento di 2.100 tra medici di famiglia, pediatri, geriatri, neurologi e fisiatri e 200 tra direttori generali e direttori sanitari di Asl e Aziende ospedaliere, in tutta Italia.
Che il Sistema Sanitario Nazionale soffra di un’evidente carenza di organico non è una novità. È del tutto innovativo, invece, aver messo, per la prima volta, nero su bianco i luoghi di cura in cui gli interventi dei logopedisti risultano più efficaci e quelli in cui andrebbero migliorati, sottolineando anche la carenza di collaborazione con medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e altri professionisti sanitari, per offrire una reale assistenza multidisciplinare, che miri al benessere della persona nel suo complesso, non limitandosi al trattamento della malattia di cui soffre.
«È un documento molto importante anche nell’ambito della realizzazione del PNRR – spiega l’onorevole Beatrice Lorenzin, coordinatore Health & Science Bridge, Centro Studi Americani che ha ospitato l’evento di presentazione del “Libro Bianco” -. L’obiettivo è di costruire una rete, un network tra tutti coloro che si occupano, a vario titolo, dei disturbi del linguaggio. Il PNRR prevede degli investimenti molto importanti che verranno accompagnati da un ridisegno complessivo del sistema di presa in carico del paziente sul territorio e quindi del calcolo dei fabbisogni sanitari e sociali, attraverso l’utilizzo, ad esempio, delle case di comunità come luoghi di incontro tra i diversi operatori. I disturbi del linguaggio sono più diffusi di quanto si possa immaginare – sottolinea Lorenzin -. Non riguardano solo i bambini, ma anche adulti e anziani vittime di gravi malattie, compresa l’infezione da Sars-Cov- 2 che sta mostrando i suoi effetti collaterali nei pazienti seguiti nel post Covid o per la cosiddetta sindrome da long Covid».
Non solo dislessia, balbuzie, disfagia, disturbi dell’apprendimento e del linguaggio. Con la pandemia i logopedisti sono stati – e lo saranno ancora in previsione della quarta ondata – sempre più impegnati nell’abilitazione del linguaggio dei pazienti dimessi dalle terapie intensive. «Per rispondere alle richieste di salute emerse durante l’emergenza da Covid-19 ci siamo attrezzati in due modi – dice Rossetto -. Innanzitutto, abbiamo attivato un efficace sistema di logopedia a distanza e tele-assistenza, poi abbiamo redatto, per primi, delle linee guida a cui si sono immediatamente ispirati anche i nostri colleghi all’estero».
Impegni che, però, non sono riusciti a snellire le liste d’attesa. «I pazienti attendono anche più di un anno per essere presi in carico – spiega la presidente FLI -. Inoltre, adulti e anziani in fase acuta e cronica (come post ictus con afasia, malattie croniche degenerative, demenze) non possono essere seguiti dai logopedisti, malgrado le evidenze scientifiche dimostrino l’efficacia del nostro intervento». Come emerso dallo stesso Libro Bianco, circa un geriatra ambulatoriale su quattro (tra quelli intervistati ai fini dell’indagine) ha ritenuto opportuno avere un supporto logopedico di fronte a pazienti affetti da Alzheimer o altre demenze.
«Sono i pediatri di libera scelta i medici che ricorrono più spesso al supporto di un logopedista (il 91% degli intervistati), seguiti dai neurologi ambulatoriali (75%) e dai medici di famiglia (70%) – racconta Ivano Leonardi, presidente di Datanalysis -. Le problematiche per le quali si è reso necessario l’intervento del logopedista sono innanzitutto i disturbi primari del linguaggio e quelli specifici dell’apprendimento, su sollecitazione del 25% dei pediatri di famiglia. Malattie croniche e degenerative (come il Parkinson o la SLA) sono state, invece, il motivo per cui circa il 40% dei fisiatri ha chiesto aiuto a uno specialista dei disturbi fonetici».
L’intervento del logopedista è utile in tutte le fasi della vita. «Il logopedista prende in carico pazienti da 0 a 100 anni», sottolinea la presidente FLI. Un impegno che rende la professione del logopedista tra le più attraenti: «La nostra professione è ai primi posti nella scelta delle giovani matricole tra le 22 professioni sanitarie. Ma nemmeno questo riesce risolvere il problema della carenza di organico: i circa 840 laureati all’anno, in Italia, non sono abbastanza per colmare il divario con gli altri Paesi. E le conseguenze di questa carenza – conclude Rossetto – sono purtroppo a carico del cittadino e paziente».
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