Giornali e tv, locali e nazionali, diedero la notizia dell’indagine con tanto di nomi e cognomi. «All’assoluzione, invece, al massimo un trafiletto». Quando il mostro sbattuto in prima pagina si rivela innocente non sempre ne viene data notizia. In questi casi c’è il diritto all’oblio
Il campanello suona con insistenza alle 6 del mattino. Tre auto dei carabinieri davanti al cancello. Un avviso di garanzia sbattuto sotto al naso e mani che frugano in tutte le stanze, nei cassetti, cercano chissà cosa, staccano il pc dalla corrente e lo sequestrano. Gli uomini in divisa restano lì per un paio d’ore poi vanno via ma hanno avuto tutto il tempo per mettere a soqquadro la casa in cerca di prove. Il dottor D.N. non aveva mai vissuto un risveglio così drammatico. Mai gli era capitato di ricevere una visita dalle forze dell’ordine e il fatto di non aver ancora capito cosa stesse accadendo, chi lo stesse accusando e per cosa, non fa che stordirlo ancora di più. Ma a breve deve attaccare al lavoro, quindi si mette in sesto in fretta, esce dalla sua villetta, entra in auto e va in ospedale.
I carabinieri sono anche lì. Nel suo studio. Maneggiano sul pc. Cercano tra le carte. Entrano in direzione sanitaria. Il medico chiede spiegazioni. Riesce a capire che si tratta di un’indagine partita dalla denuncia di un ex dipendente di un’azienda produttrice di ossigeno liquido per trattamento domiciliare e apparecchiature per ventilazione meccanica. L’accusa è che D.N. insieme a tantissimi colleghi primari pneumologi di quasi tutta la regione avrebbero intascato soldi in cambio di “forzature” nella prescrizione dei dispositivi forniti da quella determinata azienda. Parliamo di un centinaio di persone. Una notizia mica da poco. E infatti la cosa fa scalpore. Finisce su tutti i giornali e le televisioni locali (con qualche passaggio anche sul nazionale), con tanto di nomi e cognomi. Associazione per delinquere, questo è il capo d’imputazione. Da un giorno all’altro il dottor D.N. e tantissimi suoi colleghi vengono dunque bollati come possibili delinquenti.
D.N. è frastornato, indignato, deluso, spaventato. «Avevo la coscienza pulita – confida a Sanità Informazione ora che è tutto passato – ma un processo penale è pur sempre un processo penale. E vedere il proprio nome su quel genere di notizie, sia sui giornali che in tv, è molto pesante. Per fortuna che, pur essendo io una persona a volte disordinata, sono riuscito a ritrovare tutta la documentazione e a presentarle in giudizio. La Regione in cui lavoro aveva imposto delle linee guida per la prescrizione di quel tipo di apparecchiature e io mi ci ero attenuto».
Il problema, però, è che il processo parte ma non va avanti. Ogni volta che un giudice sta per approfondire il caso, e il dottor D.N. cerca con il suo avvocato di dimostrare la sua innocenza, se ne va o viene sostituito. Succede ben quattro volte e ogni volta si ricomincia daccapo. Resta insomma tutto praticamente fermo per circa sette anni. «Nel frattempo – spiega il dottore – non mi è stato rinnovato il porto d’armi, così come non vengo riconfermato nella carica che avevo nella Croce Rossa Militare». Insomma, anche se la tesi accusatoria nei suoi confronti ancora non è stata provata e lui è ancora formalmente innocente, il dottor D.N. vede la sua vita sgretolarglisi attorno. Per fortuna, però, che è un professionista affermato e né l’azienda in cui lavora, né i suoi pazienti né tantomeno familiari e amici hanno il minimo dubbio su di lui.
Giustizia verrà fatta con l’ultimo giudice. Questi si insedia, studia il caso, le carte, le prove, le testimonianze, e comincia a sentenziare. Il dottor D.N. è innocente: non ha mai prescritto un ventilatore oppure ossigeno a qualcuno che non ne avesse bisogno. Le prove fornite a sua difesa ci sono e bastano. Assolto, dunque, perché il fatto non sussiste. E con lui tanti altri colleghi, anche se con formule diverse: «Il processo è stato diviso in vari filoni che si sono sviluppati in tribunali diversi, quindi ho perso contezza della cosa. Ma da quel che so io, nessuno è stato condannato per questa storia».
Ma quanti, tra le persone che anni fa hanno letto gli articoli e visto i servizi in televisione, che hanno saputo che un medico, il dottor D.N., faceva presumibilmente parte niente di meno che di un’associazione a delinquere insieme a un centinaio di colleghi, adesso sanno che è innocente? «Quando tutto è iniziato siamo finiti su tutti i giornali – spiega –. Quando la storia è finita al massimo avranno scritto un trafiletto. Per fortuna ho ricevuto tanta solidarietà e comprensione. Anche la mia amministrazione mi è stata molto vicina. Ma una volta chiuso il caso, non ci ho voluto pensare più. È una sensazione bruttissima avere un processo di questo tipo sulle spalle sapendo di non aver fatto nulla di male. Ho preferito dimenticare tutto».
Il dottor D.N. ha dunque voluto esercitare una sorta di diritto all’oblio personale. Una volta assolto, basta, non se ne parla più. Non conta l’essere stato sotto processo ma l’essere stato assolto. I media e l’informazione, purtroppo, a volte funzionano diversamente. Una notizia pubblicata sul web potrebbe restare lì per anni anche se, nel frattempo, sono emersi elementi nuovi. Come, ad esempio, un’assoluzione. Ed è per questo che qualsiasi professionista ha, per l’appunto, il diritto, sancito dal famoso regolamento GDPR, di veder deindicizzate o cancellate le notizie che lo riguardano quando queste non rivestono più interesse pubblico.
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