L’ipotesi di CCNL dei medici, all’articolo 27, sembra derogare dalla direttiva Ue 88 del 2003 che sancisce le 11 ore di riposo consecutive. Sindacati sul piede di guerra. I casi di Francia, Spagna, Irlanda, Germania e Grecia. Consulcesi avvia la battaglia legale per tutelare i medici e ottenere i risarcimenti
Il nuovo contratto della dirigenza medica, in via di approvazione per il periodo 2016-2018, ha regolato molti aspetti della vita del medico ospedaliero, a partire da quelli economici, su cui i camici bianchi aspettavano risposte da tempo.
LA “PRONTA DISPOBILITÀ”
C’è un tema però, quello affrontato dall’articolo 27 della pre-intesa, su cui non sembra esserci un punto definitivo. Parliamo della cosiddetta “pronta disponibilità”: si tratta della reperibilità del medico ospedaliero che, in caso di chiamata, deve recarsi in ospedale interrompendo il tempo libero o il riposo. Ed è appunto questa interruzione del riposo che torna ad intrecciarsi con una antica e annosa questione, quella dei “turni massacranti”.
LA DIRETTIVA EUROPEA
La vicenda ha lunghi trascorsi e vede cristallizzarsi il tema in principio di diritto con una direttiva europea del 4 novembre 2003, la numero 88 “concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”, che all’articolo 3 stabilisce con molta chiarezza: “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici, nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive”. Una pausa di 11 ore ininterrotte di riposo, ogni 24 ore, sappiamo che per i medici ospedalieri è pressoché un’utopia.
L’ARTICOLO 27 DEL NUOVO CCNL
Infatti, cosa dice nello specifico il nuovo contratto? «Il servizio di pronta disponibilità è caratterizzato dalla immediata reperibilità del dirigente e dall’obbligo per lo stesso di raggiungere lo stabilimento nel tempo stabilito nell’ambito del piano annuale adottato, all’inizio di ogni anno, dall’Azienda o Ente per affrontare le situazioni di emergenza in relazione alla dotazione organica ed agli aspetti organizzativi delle strutture», si legge nel primo comma dell’articolo 27 del contratto.
«Il servizio di pronta disponibilità va limitato ai turni notturni ed ai giorni festivi garantendo il riposo settimanale, fatto salvo quanto previsto all’articolo 6 bis comma 2 (Organismo paritetico). Tale servizio può essere sostitutivo ed integrativo dei servizi di guardia di cui al presente CCNL» continua il testo. La pronta disponibilità ha durata di 12 ore. Due turni di pronta disponibilità sono prevedibili solo per le giornate festive. Di regola, potranno essere programmati per ciascun dirigente non più di dieci turni di pronta disponibilità mensili.
CHE SUCCEDE ALLE 11 ORE DI RIPOSO?
Ma è il comma 8 a destare qualche perplessità (IL TESTO DEL CONTRATTO). Questo recita infatti che «il personale in pronta disponibilità chiamato in servizio, con conseguente sospensione delle undici ore di riposo immediatamente successivo e consecutivo, deve recuperare immediatamente e consecutivamente dopo il servizio reso le ore mancanti per il completamento delle undici ore di riposo; nel caso in cui, per ragioni eccezionali, non sia possibile applicare la disciplina di cui al precedente periodo, quale misura di adeguata protezione, le ore di mancato riposo saranno fruite, in un’unica soluzione, nei successivi tre giorni, fino al completamento delle undici ore di riposo. Le regolamentazioni di dettaglio attuative delle disposizioni contenute nel presente comma sono definibili dalle Aziende ed Enti avendo riguardo di collocare il turno successivo a quello programmato in pronta disponibilità, nella fascia oraria pomeridiana».
SOSPENSIONE O INTERRUZIONE
Il nuovo contratto va dunque a incidere sul riposo di 11 ore consecutive che è tra i cardini della direttiva UE 88 del 2003 da noi recepita solo 12 anni dopo nel 2015. Il nuovo contratto sembrerebbe dunque tornare ai principi stabiliti dal decreto legislativo 133/2008, secondo cui la chiamata in servizio durante la pronta disponibilità “sospende” il riposo e non lo “interrompe”. Questo vuol dire che al termine della prestazione lavorativa resa in regime di reperibilità, non si dovrà riconoscere un altro periodo completo di riposo, ma un numero di ore che, sommate a quelle fruite prima della chiamata, consentano il completamento delle undici ore di riposo complessivo previste dall’Ue.
LE PROTESTE
Il tema agita i sindacati, sia i favorevoli al contratto, che, pur criticando la violazione delle 11 ore, rivendicano di aver ottenuto che dopo il turno notturno il medico non possa essere chiamato fino al pomeriggio successivo. Così Carlo Palermo (GUARDA L’INTERVISTA), segretario di Anaao Assomed, uno dei sindacati che ha firmato il contratto, ha dato mandato agli avvocati di predisporre il testo di un ricorso da presentare nelle prossime settimane alla Corte di Giustizia Europea perché si pronunci sulla questione della reperibilità “attiva” e in particolare dei meccanismi di compensazione del mancato riposo, “quando ne sia lesa la sua continuità e consecutività”. E ancora di più protestano le sigle che, come Cimo, contestano questa norma e ne fanno uno dei motivi per non siglare il nuovo contratto. Secondo il sindacato guidato da Guido Quici (GUARDA L’INTERVISTA) «il riposo previsto dalla normativa europea non viene tutelato» ed è preoccupante «il rimando alla contrattazione decentrata».
LA BATTAGLIA LEGALE DI CONSULCESI: RICORSI E RISARCIMENTI AI MEDICI
Del tema si è occupato il network legale Consulcesi che da sempre raccoglie segnalazioni di violazioni della direttiva Ue 2003/88, applicata con la legge 161 del 2014 (entrata in vigore il 25 novembre 2015), dunque con notevole ritardo. Secondo Consulcesi la violazione della direttiva Ue 2003/88 dà infatti diritto ad un rimborso che può arrivare, secondo le stime, fino ad 80mila euro. Ora il nuovo contratto sembra poter riaprire il fronte legale e, spiegano i legali del Gruppo guidato da Massimo Tortorella: “Molti professionisti ci hanno contattato preoccupati dai possibili risvolti sulla loro vita professionale e privata. Come sempre siamo al loro fianco e porteremo in Europa le loro istanze. La Corte di Giustizia Europea ha già stabilito espressamente che gli Stati membri inadempienti devono risarcire i danni relativi al mancato recepimento della direttiva, concedendo al medico danneggiato “tempo libero aggiuntivo” oppure “un’indennità pecuniaria”. Il riposo del medico è parte integrante del suo lavoro, in quanto un medico stressato e stanco corre rischi maggiori di incappare in questioni di responsabilità professionale. Tutto ciò è intollerabile. Per questo, così come fatto in questi ultimi anni per le altre violazioni in termini di rispetto degli orari di lavoro nel Ssn, porteremo la questione fino al Parlamento europeo. Per ogni informazione è possibile contattare Consulcesi al numero verde 800.122.777 o collegarsi al sito www.consulcesi.it”.
GLI ALTRI CASI EUROPEI: FRANCIA, SPAGNA, IRLANDA
Eventuali ricorsi alla Corte Ue non saranno, almeno questa volta, una specialità italiana. Perché, come dire, “Paese che vai turni massacranti per medici che trovi”. Nel lungo elenco di “deroghe” alle 11 ore di riposo poi sanzionate dall’Europa troviamo la Francia, l’Irlanda e la Spagna e le storie di medici “bruciati” dal troppo lavoro si affastellano tanto da richiedere ospedali che curino proprio questa “patologia” sociale diventata una malattia vera e propria.
LA SENTENZA SULLA GRECIA
Ad esempio la Grecia, con una sentenza del 2015 ha subito una condanna con motivazioni che non possono non far pensare alla nuova norma contrattuale perché – come rimarca la Corte –: “Una normativa nazionale che autorizza periodi di lavoro che possono durare 24 ore consecutive è incompatibile con il diritto dell’Unione. Orbene, in forza della normativa greca, quando un turno normale è immediatamente seguito da una guardia, un medico può dover lavorare consecutivamente per oltre 24 ore e addirittura fino a 32 ore nell’ipotesi particolare in cui un nuovo turno normale inizi immediatamente dopo la guardia. Il fatto di concedere periodi di riposo solo ‘in un altro momento’ senza una diretta connessione con il periodo di lavoro prolungato non tiene adeguatamente in considerazione la necessità di rispettare i principi generali di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, che costituiscono il fondamento del regime dell’Unione sull’organizzazione dell’orario di lavoro. Prevedendo che il riposo di 24 ore da concedere ai medici dopo ogni guardia attiva possa essere riportato fino a una settimana dopo il giorno in cui si è effettuata la guardia, la normativa greca non è conforme alla direttiva sull’organizzazione dell’orario di lavoro”.
LA BACCHETTATA ANCHE ALLA GERMANIA
Ma già nel 2003 con la sentenza sul caso tedesco “Jaeger” la Corte aveva stabilito alcuni indirizzi inderogabili: il “periodo di riposo” è una nozione di diritto comunitario che non può essere interpretata in funzione delle prescrizioni delle varie normative degli Stati membri; il diritto dei lavoratori al riconoscimento di periodi di riposo non può essere subordinato dagli Stati membri a qualsivoglia condizione, poiché esso deriva direttamente dalle disposizioni della direttiva; i medici non possono essere esclusi dalle tutele generali neanche quando svolgono i servizi di guardia. “Una siffatta interpretazione s’impone a maggior ragione in quanto si tratta di medici che garantiscono un servizio di guardia nei centri sanitari, dato che i periodi durante i quali la loro opera non è richiesta per far fronte ad urgenze, non si può escludere che gli interessati siano chiamati a intervenire, oltre che per le urgenze più o meno brevi e frequenti, per seguire lo stato dei pazienti posti sotto la loro sorveglianza o per svolgere compiti amministrativi” affermava la sentenza.
IL POMPIERE CHE RIAPRE IL CASO
Il caso più recente che arriva da Strasburgo e che sta rimettendo in moto ricorsi e richieste risarcitorie dei medici non riguarda però un camice bianco, ma un “casco rosso”. È il pompiere volontario signor Matzak, quindi non un dipendente, che nella città di Nivelles in Belgio, 25mila abitanti circa su un territorio di circa 60 Km quadrati, riceveva un compenso fisso annuo dall’amministrazione locale per rendersi disponibile al servizio antiincendio presso la sede dei pompieri entro 8 minuti dalla chiamata, avendo in più l’obbligo di residenza nella stessa cittadina. Nel 2009 dopo 29 anni di servizio ha intentato una causa contro la città di Nivelles ipotizzando la mancata retribuzione delle ore di reperibilità al domicilio e chiedendo a titolo risarcitorio simbolico 1 euro. La sentenza del 2018 stabilisce che le ore di guardia che un lavoratore trascorre al proprio domicilio con l’obbligo di rispondere alle convocazioni del suo datore di lavoro entro 8 minuti, obbligo che limita molto fortemente le possibilità di svolgere altre attività, devono essere considerate come orario di lavoro. Questo apre scenari giuridici, tutti da valutare, anche per i medici. Come spiega a Quotidiano Sanità la delegata FEMS Alessandra Spedicato: “per i medici in Austria la reperibilità con obbligo di raggiungere il posto di lavoro in 30 minuti è considerata “orario di lavoro”, lo stesso in Finlandia con obbligo in 5 minuti mentre in altri Stati la disponibilità entro 15 minuti non è considerata orario di lavoro. In Spagna ci sono state due sentenze differenti e contrarie. Nella prima ha prevalso il confronto tra i tempi di obbligo per l’accesso e 30 minuti sono stati considerati troppi e non vincolanti, mentre in un’altra è stata posta particolare attenzione più che al dato tempo alla restrizione della vita sociale del lavoratore”.