Tecnologie più avanzate e microequipe negli ambulatori, ecco le richieste della Fimmg a nuovo Governo e Regioni. Il segretario generale Scotti: «Stop ai luoghi comuni, non siamo meri dispensatori di ricette»
Giorni importanti e forieri di buoni auspici per i medici di Medicina generale. L’insediamento del nuovo esecutivo e la nomina del ministro Roberto Speranza a capo del dicastero della Salute sono stati salutati con ottimismo e hanno preceduto di poche ore un passaggio obbligato per la categoria: la sottoscrizione della pre intesa sul nuovo Accordo Collettivo Nazionale. Ci si aspettano ora dei passi avanti affinché alla Medicina Generale venga riconosciuto il ruolo di primo, fondamentale, avamposto di salute territoriale attraverso misure concrete. Quali? Lo abbiamo chiesto al segretario generale della Fimmg, Silvestro Scotti.
Quali sono le istanze che rivolgete al nuovo ministro della Salute Roberto Speranza per quanto riguarda la riforma dell’offerta della Medicina generale?
«In primo luogo che si dia un taglio ai luoghi comuni e ai pregiudizi: non siamo dei fabbricanti di ricette e certificati, e i nostri pazienti ci testimoniano ogni giorno il loro gradimento a riprova del fatto che siamo un punto di riferimento importante per il Servizio sanitario nazionale. Il decongestionamento dei Pronto Soccorso non ci spaventa, i medici di famiglia vedono due milioni di cittadini italiani in un giorno, la stessa cifra di codici inappropriati che gli ospedali vedono in un anno. Se li dividessimo per i medici di famiglia significherebbe avere una sola visita in più ogni giorno: non ce ne accorgeremmo nemmeno. Quello che chiediamo è di poter fare meglio. Oggi ci sono tecniche e tecnologie estremamente avanzate, se nei nostri ambulatori potessimo avvalercene si ridurrebbero significativamente gli accessi in ospedale migliorando la percezione delle nostre capacità diagnostiche nel paziente. Adesso molte volte non ci resta che indirizzarli verso prestazioni di secondo livello. Credo che però per far questo non basti il Fondo Sanitario Nazionale nè il fondo dell’ACN, ma – come ho già chiesto – serve un intervento in legge di Bilancio. Troppo spesso ci si dimentica che il medico di famiglia è un libero professionista convenzionato, ovvero una piccola impresa sociale, e andrebbe finanziariamente supportato nell’acquisto di attrezzature diagnostiche o anche nell’assunzione di personale. Non vogliamo in alcun modo sottrarre risorse al Fondo Sanitario Nazionale perché così a farne le spese sarebbero i cittadini: non conta eccellere nella diagnostica se poi non si può prescrivere all’assistito una determinata terapia».
Qual è la sfida da giocare per migliorare le cure territoriali?
«La partita della microequipe, cioè fare in modo che ogni cittadino all’interno dello studio del suo medico di famiglia trovi, oltre al medico, un collaboratore di studio in grado di indirizzarlo nei CUP, per quanto riguarda gli screening, ed un infermiere che ci aiuti anche nella domiciliarità per la gestione di pazienti anziani e cronici, che sono sempre più numerosi».