Presentato il 16mo Rapporto Sanità da CREA e Tor Vergata: «Pronti per la prossima pandemia? É come comprare gli spazzaneve a Roma». E sul Recovery Plan: «Sembra un piano di rifinanziamento più che un nuovo modello di SSN»
“Oltre l’emergenza, verso una ‘nuova’ visione del nostro SSN” è il titolo dell’evento con cui CREA Sanità e Università di Roma-Tor Vergata hanno presentato, in modalità rigidamente online, il 16mo Rapporto Sanità. Un documento strategico che da più di un decennio contribuisce a plasmare le scelte di policy in campo sanitario e che quest’anno si è concentrato, prevedibilmente, sullo stato del Sistema Sanitario Italiano a cavallo dell’emergenza Covid. Le relazioni introduttive sono state curate da Barbara Polistena, responsabile scientifico CREA Sanità, e dal professor Federico Spandonaro, docente titolare dei corsi di laurea in economia sanitaria e presidente del comitato scientifico di CREA Sanità.
«Il coronavirus ha messo a dura prova il sistema sanitario italiano, ma in tutta sincerità anche i soldi del Recovery Fund rischiano di metterlo a dura prova», ha detto Spandonaro nella sua relazione-fiume: «E c’è da dire che nella composizione del Rapporto ci siamo trovati piuttosto in difficoltà, visto che, problema atavico del nostro Paese, non abbiamo dati a sufficienza e non abbiamo dati di qualità. Ci troviamo a ragionare, a cercare di trarre un bilancio sull’esperienza pandemica senza numeri certi. E senza i dati che ci servono si cade spesso nell’opinionismo».
La relazione al 16mo Rapporto Sanità si occupa innanzitutto di sfatare alcuni luoghi comuni: «Si dice che il Servizio Sanitario Nazionale si sia comportato al meglio durante i giorni della pandemia – ha continuato Spandonaro – ma ci dimentichiamo le file ai drive-in e che l’Italia ha il tasso di letalità più alto del mondo. Quando si presenta questa osservazione si sente dire che questo dipende dall’età media della popolazione italiana, piuttosto alta; tuttavia andando a standardizzare questo dato salta fuori che questa spiegazione risolve poco se non nulla».
«Si sente inoltre dire – ha continuato il docente – che il Servizio Sanitario Nazionale sarebbe sottofinanziato. Questo è possibile sostenerlo, in astratto; tuttavia siamo costretti a ricordare che prima della fase pandemica le terapie intensive erano al tasso di riempimento al 48%. Nessuno avrebbe potuto sostenere che c’era bisogno di maggior finanziamento».
La questione che il presidente del comitato scientifico di CREA Sanità ha provato a illustrare è in effetti questa: quando la pandemia da coronavirus sarà esaurita, cosa ne faremo di tutto lo sforzo e per esempio di tutti i posti letto che abbiamo allestito per contrastare il Covid-19? «Le parole sono importanti e dovremmo interrogarci sul loro significato – ha proseguito Spandonaro -. Resilienza è un termine che va molto di moda e che significa “capacità di assorbire un urto anomalo”, per cui adesso è come se ci fossimo attrezzati per la prossima pandemia che non sappiamo nemmeno se e quando ci sarà. Mi viene in mente quando a Roma, per l’unica nevicata in anni, qualcuno chiese perché non erano pronti gli spazzaneve. La risposta è che se li usi una volta ogni dieci anni, gli spazzaneve, quando li accendi probabilmente sono rotti».
Risulta necessario secondo gli esperti del CREA, dunque, passare dalla prospettiva della resilienza alla prospettiva della flessibilità: «Ci ritroviamo oggi con una pletora di medici assunti e un potenziamento delle terapie intensive, casomai tornasse una pandemia. Dovremmo invece riflettere, ad esempio, sul fatto che abbiamo perso il momento buono per impostare una politica di tracciamento e abbiamo promosso e sostenuto una app che, va detto, è stata un completo fallimento e di cui nessuno oggi si ricorda nemmeno il nome». Si parla, ovviamente, di Immuni.
Altri temi proposti nella relazione hanno inciso su questioni al centro del dibattito, come ad esempio il rapporto fra territorio e ospedale: «C’è chi pensa che i medici di Medicina Generale debbano rimanere liberi professionisti e chi li vede assunti, chi dice che bisogna deospedalizzare. A mio parere c’è un motivo se i servizi ospedalieri sono fatti così, perché l’ospedale diventa un centro di alta specializzazione dove ci sono appunto le visite specialistiche. Le strutture intermedie, noi lo sappiamo, non funzionano».
Per il resto, il giudizio sulla via italiana al PNRR appare abbastanza netta: «Non ci sembra che il piano prefiguri un nuovo modello di Servizio Sanitario Nazionale, sembra più un piano di rifinanziamento. Come se avessimo trovato un po’ di soldi che ci mancavano e che finalmente abbiamo da qualche parte rimediato».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato