Secondo la Cassazione è da rigettarsi l’idea che l’azione dei medici ospedalieri abbia interrotto il nesso causale tra il sinistro stradale e il decesso del pedone
Con l’espressione “nesso causale”, in giurisprudenza, si intende generalmente il legame di causa tra un determinato evento ed il prodursi di una determinata conseguenza, rilevante ai fini giuridici. In ambito di responsabilità medica il tema è particolarmente delicato, in quanto l’azione terapeutica esercitata su un paziente a seguito di un evento lesivo, ad esempio un trauma, può o meno interrompere il legame eziologico tra l’evento stesso e il conseguente decesso del soggetto lesionato.
Una recente sentenza della Suprema Corte, datata 6 ottobre 2023, puntualizza alcuni aspetti proprio sulla relazione tra responsabilità medica e interruzione del nesso causale. Vediamoli assieme.
L’evento all’origine del pronunciamento dei giudici di Cassazione è un incidente stradale tra un ciclomotore ed un anziano pedone, conclusosi purtroppo con il decesso di quest’ultimo.
I giudici di merito, di primo e secondo grado, condannano la conducente del veicolo per omicidio stradale, in violazione dell’Art.141, comma 2 del Codice della Strada, secondo cui “[i]l conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile.”
La conducente ricorre in Cassazione adducendo svariati motivi, tra i quali ve n’è uno di nostro particolare interesse. Come riporta la sentenza n.40723, viene messa in rilievo la validità della tesi che la condotta ascritta alla conducente del ciclomotore sia stata effettivamente la causa del decesso del pedone, “[…] anche in considerazione della rilevante sussistenza di gravi errori e negligenze dei sanitari che avevano avuto in cura la vittima.”
Secondo la ricorrente, i giudici di merito avrebbero escluso “con motivazione frettolosa e inidonea”, che il decesso del pedone sia stato in realtà determinato da una pessima gestione del caso clinico da parte dei medici ospedalieri che ebbero preso in cura l’anziano subito dopo l’evento. Si sarebbe trascurato, cioè, il fatto – presente agli atti – dell’insorgenza di una importante emorragia nel danneggiato, conseguente al mancato tempestivo intervento dei sanitari.
Il pedone, giunto vigile e cosciente al pronto soccorso ospedaliero, avrebbe, a quanto pare, atteso ben otto ore senza né essere ricoverato né essere sottoposto ad alcun accertamento diagnostico utile. A ulteriore conferma della tesi che responsabile del delitto non fosse la conducente del ciclomotore, v’è inoltre il fatto che gli stessi parenti della vittima citarono in giudizio per omicidio il personale ospedaliero e non la ricorrente stessa.
Giunto in condizioni stabili in ospedale, solamente a seguito di una “[…] mancata attuazione dell’intervento di stabilizzazione del bacino, del femore sinistro e dell’inizio della terapia infusionale”, il pedone avrebbe patito una un aumento del fenomeno emorragico.
La ricorrente lamenta inoltre il fatto che sia stata negata una perizia d’ufficio sulle cause effettive della morte dell’anziano pedone, quando gli stessi periti medico legali nominati dal Pubblico Ministero evidenziarono le negligenze del personale sanitario.
I giudici della Cassazione respingono i ricorsi presentati dalla conducente del veicolo, condannando quest’ultima al pagamento delle spese processuali e ad un versamento a favore della Cassa delle Ammende.
In relazione al tema della responsabilità medica del personale ospedaliero, il parere della Corte si articola nel modo seguente.
Nelle conclusioni dei giudici di merito emerge con evidenza che la situazione clinica del pedone all’atto dell’ingresso in ospedale risultasse già fortemente compromessa. Ciò sta a significare, in altre parole, che “[…] il mancato intervento tempestivo dei sanitari nei confronti della parte lesa non avrebbe avuto alcuna efficacia risolutiva del caso, suscettibile di scongiurare certamente l’esito infausto.”
E’ quindi da rigettarsi l’idea che l’azione dei medici ospedalieri abbia interrotto il nesso causale tra il sinistro stradale e il decesso del pedone, in virtù dell’Art.41 comma 2 del Codice Penale, secondo il quale “[l]e cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento.” L’operato dei medici avrebbe interrotto il legame eziologico esclusivamente nel caso in cui questo avesse generato, ex se, l’evento morte. Come ribadiscono gli ermellini, “[…] ai fini dell’esclusione del nesso di causalità occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l’evento letale […]”.
Quanto sopra riportato rappresenta un caso, fra tanti, in cui si cerca di coinvolgere, in un procedimento penale, il personale medico e sanitario, al fine di mitigare o addirittura escludere la propria responsabilità in un delitto di particolare gravità. E’ quindi fondamentale, per un professionista della salute, dotarsi di eccellenti coperture di responsabilità civile e di difesa legale.