Il “padre” della Legge 24 del 2017, oggi presidente della Fondazione Italia in Salute, ha fatto il punto nel corso di un convegno all’Ospedale San Giovanni Battista di Roma: «Legge va applicata anche se mancano alcuni decreti attuativi, l’obbligo ad esempio della copertura assicurativa è chiaro. E sull’obbligo ECM…»
«La Legge 24 del 2017 sulla responsabilità professionale è pienamente operativa anche se mancano ancora quattro decreti attuativi». Lo ha ribadito con forza il padre di quella norma, Federico Gelli oggi presidente della Fondazione Italia in Salute, parlando a una numerosa platea di operatori sanitari nel corso del convegno “Lo stato dell’arte a due anni dall’approvazione della legge Gelli» che si è svolto a Roma all’ospedale San Giovanni Battista e promosso dal Direttore generale del nosocomio dei Cavalieri di Malta, Anna Paola Santaroni, dalla Simedet, Società italiana di medicina diagnostica e terapeutica e dal Careggi di Firenze. Nella Legge, ricorda Gelli, è stata introdotta già una piccola rivoluzione ‘semantica’ ma di grande significato: «Non abbiamo mai richiamato le singole, specifiche professioni ma abbiamo parlato di “esercenti le professioni sanitarie”. Abbiamo introdotto una pari dignità tra le varie professioni sanitarie parlando di ‘esercenti’». Poi ha ricordato quanto, dal punto della prevenzione del rischio clinico, l’applicazione della Legge sia ancora a macchia di leopardo: i centri per la gestione del rischio sanitario, previsti dalla legge, mancano ancora in Sicilia, Calabria e Campania. «Uno dei punti fondamentali è che abbiano compreso che dovevamo rendere organico in ambito nazionale un metodo di gestione del rischio clinico che ha prodotto risultati importante dal punto di vista della prevenzione. Questa attività di risk management è un modello a cascata che prevede la nascita dei centri regionali di risk management». La Legge 24, come ricordato più volte dallo stesso Gelli, crea un legame diretto tra formazione continua e contenzioso: l’articolo 3 del testo provvisorio dei decreti attuativi mancanti (sono quattro, tra cui quelli sulla parte assicurativa) prevede la rivalsa dell’assicuratore verso il medico se questo non è in regola con l’obbligo formativo del triennio precedente la data del fatto. Un’ulteriore conferma dell’importanza di essere in regola con i crediti imposti dalla Legge.
Onorevole, facciamo il punto a due anni dall’emanazione della Legge 24. Lei ha sottolineato che l’applicazione è ancora a macchia di leopardo, ci sono regioni che sono indietro…
«Sì, purtroppo nel nostro Paese non c’è un unico sistema sanitario nazionale ma ci sono 21 sistemi sanitari a seconda della regione. Il recepimento della legge ancora oggi vede carenti alcune regioni italiane che non hanno emanato provvedimenti regionali che recepiscono la norma e quindi è chiaro che in questi territori l’applicazione della norma fa più difficoltà. Non ovviamente sui profili giuridici, quelli si spera che i tribunali italiani e i giudici applichino la legge in maniera uniforme sul territorio nazionale (ma anche su questo ci sarebbe da discutere). Ma soprattutto sui profili gestionali, organizzativi sanitari che sono il cardine centrale della legge in quanto sono la parte più rilevante dell’azione di riduzione del rischio, di risoluzione del contenzioso e di riduzione della medicina difensiva. In quei territori purtroppo ho l’impressione che nel corso del tempo si vedranno effetti meno positivi che in altre parti d’Italia».
Mancano ancora quattro decreti attuativi, ma lei dice che sbaglia chi dice che la legge non è applicabile perché mancano questi decreti attuativi. Perché?
«Perché la legge è molto chiara soprattutto su alcuni profili. Siccome si sta parlando di decreti attuativi della parte assicurativa non è che l’assenza dei decreti attuativi fa saltare l’obbligo ad esempio della copertura assicurativa che le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private devono avere. Quello è un precetto della legge. Quindi quell’obbligo deve esserci come è obbligo che gli esercenti le professioni sanitarie facciano la copertura assicurativa per la colpa grave e per l’azione di rivalsa. I decreti attuativi andranno a specificare le tipologie delle polizze, dei massimali, della ultrattività e retroattività di una copertura assicurativa ma l’obbligo è pienamente efficace. L’ho voluto puntualizzare perché girando l’Italia si sentono questo tipo di valutazioni».
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Lei ha dato un consiglio ai professionisti sulle polizze e in particolare sulla polizza primo rischio. Di che si tratta?
«La legge finalmente fa chiarezza su chi ha la competenza della copertura assicurativa. Per tutti gli esercenti le professioni sanitarie dipendenti di strutture pubbliche e private la polizza primo rischio, cioè la responsabilità diretta durante la propria azione, deve essere garantita dalla struttura sanitaria dove lavorano. Mentre l’unico obbligo per i singoli professionisti è la copertura assicurativa per l’azione di rivalsa nella colpa grave. Ovviamente se uno commette un errore grave deve avere l’accortezza di avere una copertura assicurativa che possa permettere di risarcire la struttura del danno che poi lui ha provocato. Questo è un punto fondamentale perché questi due passaggi fanno chiarezza rispetto al passato quando non si sapeva di chi era di competenza la copertura assicurativa delle strutture o del professionista. Ovviamente tutto questo non vale per i liberi professionisti che, come per tutti coloro che svolgono l’attività libero professionale, si assumono la responsabilità di impresa e quindi rispondono ancora per responsabilità contrattuale: devono quindi avere ancora una copertura primo rischio pienamente efficace come è sempre stato».