Presentati alla Camera i primi dati sull’applicazione della legge. Federico Gelli: «Quello che ci sembra interessante è l’andamento tendenziale: finalmente c’è un governo del rischio in sanità e della sicurezza delle cure per i cittadini. Questo mi sembra il primo risultato». Dal report emergono diseguaglianze tra regioni
La Nuova Aula del Palazzo dei Gruppi Parlamentari della Camera dei deputati è stata per un giorno ‘adottata’ da medici, esperti del rischio clinico, politici e tecnici per parlare di “Sicurezza delle cure e responsabilità degli operatori”. Padrone di casa il padre della legge 24 del 2017 Federico Gelli, presidente della neonata Fondazione Italia in Salute che vede alla guida del comitato scientifico l’ex presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi.
Al centro del convegno lo stato di applicazione della legge Gelli a due anni dalla sua pubblicazione con la presentazione di un report curato da Fidelia Cascini, Responsabile del Programma di Ricerca della Fondazione Italia in Salute. «I dati sono ancora incompleti, ma possiamo già dire che nelle Regioni che da anni hanno applicato delle metodiche di risk management c’è stata una chiara deflazione del contenzioso, una riduzione dell’ammontare delle richieste risarcitorie ed una diminuzione della medicina difensiva», ha affermato Gelli in apertura di convegno.
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Dai dati emerge ancora una volta la grande differenza tra le regioni nell’applicazione della legge. Risultati soddisfacenti si registrano dal punto di vista organizzativo riguardo l’istituzione dei Centri di gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente previste dalla legge. Tredici le Regioni ad averlo istituito mettendosi in regola con il dettato della legge n. 24/2017. Altre due, Liguria e Lombardia, pur non avendo ancora recepito con atto formale la norma, hanno già attive organizzazioni che si occupano di gestione del rischio sanitario. Solo cinque le Regioni rimaste indietro.
Sul campo della trasparenza, sono ben 11 le Regioni che hanno un livello insufficiente, scarso o nullo di informazione rispetto agli aspetti di gestione del rischio sanitario e della sicurezza delle cure. Da qui la necessità di un intervento più incisivo anche per garantire ai cittadini la possibilità di poter scegliere al meglio dove e come curarsi.
Tra i relatori del convegno, aperto dal Vice Presidente della Camera dei deputati Ettore Rosato, anche il Commissario dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, Enzo Vincenti, Magistrato della Suprema Corte di Cassazione, Filippo Anelli, Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici, Francesco Ripa di Meana, Presidente della Fiaso e Mario Fiorentino, Direttore Generale per il mercato del MISE.
«È un percorso lungo, non si può pensare che dopo un anno, un anno e mezzo dalla pena operatività della legge questa possa produrre dei risultati immediati – sottolinea Gelli a Sanità Informazione – È un percorso culturale, è un percorso di recepimento della norma in tutte le articolazioni complessissime del sistema sanitario pubblico e privato del paese. Si sta parlando di migliaia di ospedali, si sta parlando di strutture sanitarie distribuite in tutto il territorio. È chiaro che quello che ci sembra interessante è l’andamento tendenziale: finalmente c’è un governo del rischio in sanità e della sicurezza delle cure per i cittadini. Questo mi sembra il primo risultato».
Sul campo resta il tema dei quattro decreti attuativi mancanti, quelli sulla parte assicurativa, anche se dal Ministero dello Sviluppo è arrivato l’annuncio della convocazione del tavolo di lavoro per sciogliere gli ultimi nodi. «Su questo tema l’applicazione della norma è ferma – ha ricordato Fidelia Cascini – La copertura assicurativa è obbligatoria per le strutture. I dati che abbiamo raccolto parlano di 20947 sinistri denunciati negli ultimi 12 anni con un costo medio per sinistro di 88mila euro».
Nell’intervento di Gelli anche una critica al Piano nazionale della prevenzione: «Il piano è un’ottima cosa, è uno degli strumenti più importanti che credo debba continuare ad essere prodotto dal Ministero della salute, ma mi pare abbastanza curioso che dopo l’impegno che abbiamo profuso in tutti questi anni nel lanciare l’idea che c’è un problema di sicurezza delle cure, di rischio professionale non si dica nemmeno una virgola nel Piano nazionale della prevenzione. Voglio ricordare che la parte più importante della legge è proprio quella dell’azione preventiva. Lo scopo è proprio quello di mettere in essere tutte le migliori pratiche organizzativo sanitarie che ovviamente vengono già adottate in altre paesi europei occidentali proprio per prevenire che quell’evento sentinella, quel potenziale errori si trasformi in un danno a carico del paziente. Se nel piano nazionale che deve definire la cornice dell’impegno nazionale della prevenzione non c’è un richiamo a questa parte mi sembra che sia una nota molto negativa che va segnalata».
Per la Fondazione Italia In Salute si tratta del primo lavoro di ricerca. A questo ne seguirà uno sulle tassonomie professionali degli operatori che si impegnano nel settore del risk managment. «Vogliamo censire e capire com’è possibile formare gli operatori verso questa importante nuova materia – sottolinea Gelli – Non solo quindi nei master e nei percorsi universitari ma anche nei momenti della formazione generale degli operatori della sanità».