Comunello (Sapienza): «Fare attenzione nel citare casi clinici per non imbarazzare i pazienti». E i contenuti web falsi o scorretti possono essere rimossi facendo ricorso al “diritto all’oblio”
C’è chi posta video divertenti su Tik Tok, chi preferisce un profilo pubblico su Facebook e chi riassume i propri pensieri in brevi tweet. Seppur in modo diverso, hanno tutti il medesimo scopo: interagire e farsi conoscere. Una forma di comunicazione, quella su internet e sui social network, sempre più diffusa anche tra medici e professionisti sanitari, volta ad incentivare e migliorare la propria web reputation.
Ma cosa accade quando la divulgazione scientifica, di per sé materia delicata e complessa, viene semplificata ai minimi termini per adattarsi alle “regole linguistiche” dei social? «Ci sono i pro e i contro – risponde Francesca Comunello, professore ordinario di Internet e social media studies all’Università Sapienza di Roma -. La loro capillare diffusione tra la popolazione fa sì che sempre più persone vengano attratte da messaggi di natura medico-scientifica che, altrimenti, non avrebbero mai, o molto di rado, cercato o letto».
Tendenza evidenziata anche da un progetto di ricerca degli studiosi della stessa Sapienza che hanno indagato i metodi di comunicazione utilizzati durante la compagna vaccinale anti-Covid. «Molti medici e specializzandi, soprattutto giovani – racconta la docente -, hanno utilizzato Tik Tok per far comprendere agli adolescenti, di solito poco attratti dai temi medico-sanitari, l’importanza del vaccino, ottenendo un ottimo seguito».
E così come cittadini, grandi e piccoli, sono più informati grazie alla diffusione della web communication, medici e professionisti sanitari sono più conosciuti. «Se un’informazione diventa virale – aggiunge Comunello – anche i volti e i nomi di chi le diffonde aumentano di notorietà».
E spesso non è frutto del caso, ma l’esito di una strategia comunicativa studiata a tavolino per migliorare la propria web reputation: «Per ottenere buoni risultati – consiglia la professoressa – sarebbe meglio utilizzare più di una piattaforma contemporaneamente, adattandone contenuto e linguaggio al target di persone che principalmente la utilizza. In questo modo, aumenterà sia il numero di destinatari che l’efficacia comunicativa», assicura l’esperta.
Attenzione a non improvvisare: comunicare sui social, soprattutto se con finalità di divulgazione scientifica, è un vero e proprio mestiere tutto da imparare. Ecco i principali rischi. «Il professionista che utilizza i social potrebbe trovare il suo post associato a quello di altri che, pur senza titolo e competenza, trattano dello stesso argomento. Per questo è importante che chi legge (guarda o ascolta) possa riconoscere, in modo immediato, l’autorevolezza della fonte. In altre parole, il medico o operatore sanitario che, ad esempio, pubblica un video su Tik Tok, pur adattandosi al linguaggio “giovanile” della piattaforma, dovrà mantenere, in modo chiaro ed evidente, il proprio ruolo di professionista e le competenze che ne derivano».
Ma le insidie dei social non finiscono qui. «C’è anche un’altra forma di rischio, quella che gli studiosi chiamano il “collasso dei contesti”. Mentre nel mondo fisico, quello offline, regoliamo i nostri comportamenti in base alle persone che abbiamo davanti ed ai contesti in cui ci troviamo, online questo confine non è sempre così netto. Non è escluso che un post pubblicato su un profilo visibile a pochi possa essere riportato su pagine molto più “affollate” e diventare virale nel giro di qualche giorno, se non addirittura ore».
E cosa accade quando un messaggio finisce davanti agli occhi delle persone a cui non era indirizzato? «Possono originarsi fenomeni di polarizzazione, utilizzo di linguaggi inappropriati, fino ai cosiddetti “flame” (che nel gergo di internet corrispondono a messaggi offensivi o provocatori, ndr) – risponde Comunello -. Per questo, le strategie comunicative devono comprendere anche una programmazione della gestione di eventuali difficoltà, come le critiche altrui. Chi non è abituato ad affrontarle potrebbe facilmente perdere la pazienza e rispondere con altrettanta arroganza, finendo solo per peggiorare la situazione e la sua immagine pubblica».
È bene ricordare, dunque, che la web reputation non sarà mai basata solo su ciò che scriviamo su di noi o attribuiamo alla nostra persona, ma anche sulle opinioni altrui. Per fortuna le situazioni più estreme possono essere risolte attraverso il diritto all’oblio, facendo rimuovere dal web quei contenuti ritenuti falsi o scorretti. Per tutelare questo diritto, riconosciuto anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, è necessario avvalersi di una consulenza, come quella fornita dai legali di Consulcesi.
Un diritto per se stessi, ma anche un dovere nei confronti dei propri pazienti che potrebbero essere vittime inconsapevoli di scelte comunicative sbagliate. «Per questo – suggerisce la docente – è meglio fare molta attenzione nel citare casi clinici. Pur non utilizzando riferimenti espliciti, il paziente potrebbe ugualmente identificarsi o temere di essere identificato dai suoi conoscenti. Una situazione di imbarazzo che – conclude la professoressa – potrebbe indurre lo stesso individuo a preferire uno specialista “meno social”».
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