Il Sindacato dei Medici Italiani (SMI) e il Sindacato Italiano Medici del Territorio (SIMET) hanno indetto uno sciopero di 48 ore (1 e 2 marzo), con la chiusura degli ambulatori, culminato con una manifestazione di piazza davanti al Ministero della Salute. Esposti cartelli di pace per richiedere la fine del conflitto in Ucraina
Carichi di lavoro insostenibili, troppa burocrazia, mancanza di tutele fondamentali, come la malattia, la maternità e il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro. Sono solo alcuni dei motivi che hanno spinto SMI (il Sindacato dei Medici Italiani) e SIMET (il Sindacato Italiano Medici del Territorio), in rappresentanza di tutti i medici dell’area convenzionata, ad indire uno sciopero di 48 ore, con la chiusura degli ambulatori sia il primo che il 2 marzo, culminato con una manifestazione tenutasi questa mattina a Roma, davanti al Ministero della Salute.
«Dopo due anni di pandemia, di turni massacranti, di colleghi che hanno pagato con la propria vita, i nostri diritti continuano ad essere calpestati – denuncia Pina Onotri, Segretario Generale SMI -. Oggi scioperiamo perché rivendichiamo tutele concrete, come le ferie, la maternità, la malattia – aggiunge la sindacalista -. Reclamiamo tutele certe in materia di sostegno e sostituzioni, per poter fruire del meritato riposo, nonché politiche serie sulle pari opportunità». Accanto agli slogan dedicati alla classe medica anche cartelli di pace esposti per mostrare la propria solidarietà all’Ucraina e per richiedere la fine del conflitto.
I medici sono scesi in piazza per tutelare non solo i propri diritti ma anche quelli di tutti i cittadini e pazienti d’Italia: «Oggi più di 3 milioni di italiani sono senza un medico di famiglia – sottolinea Onotri -. Anche le ambulanze viaggiano senza un medico a bordo. Le postazioni di guardia medica vengono chiuse o accorpate per mancanza di personale. Vogliamo che la professione torni ad essere attrattiva per i giovani medici così come lo è stata per i vecchi colleghi prossimi al pensionamento. Non c’è più tempo da perdere nemmeno per l’istituzione di un corso di specializzazione in medicina generale», dice il Segretario Generale SMI.
È la burocrazia il muro più alto da abbattere: i medici vogliono avere più tempo per tastare le pance dei propri pazienti, dedicandone meno alle tastiera dei pc. «In questi anni ci siamo fatti carico del lavoro del personale amministrativo delle Asl che via via è andato in pensione senza poter essere sostituito – aggiunge il Segretario Generale SMI -. È giunta l’ora di ripristinare l’organico, affinché i medici possano occuparsi dei pazienti e non delle scartoffie. È necessario investire sul capitale umano, adeguando numericamente sia il personale amministrativo che sanitario».
Se il Ssn non funziona è l’intero Paese a farne le spese. Ne è convinto Sandro Benzoni, vice segretario SIMET Emilia Romagna che, nonostante sia prossimo alla pensione, è sceso in piazza per tutelare i diritti non solo dei suoi colleghi, ma di tutti i cittadini italiani. «Mi sono unito alla protesta per tutelare i miei ideali, per fermare lo smantellamento in atto della medicina generale. Lo scenario in cui versa attualmente la sanità italiana è davvero preoccupante – afferma Benzoni – e spero che le nostre battaglie odierne possano restituire ai nostri figli ed ai nostri nipoti un Ssn migliore».
In piazza rappresentanti della specialistica ambulatoriale, della continuità assistenziale ospedale-territorio, dei medici di famiglia, del 118. «Le ambulanze senza medico a bordo rappresentano un danno enorme per pazienti. Ma non solo – spiega Paolo Ficco, presidente nazionale Saues (Sindacato autonomo urgenza emergenza sanitaria) -. Aumentano anche il lavoro a carico dei pronto soccorso, già oberati dalle continue emergenze».
A puntare il dito contro chi calpesta i diritti delle donne medico è Patrizia Cristini, direzione nazionale SMI, responsabile Specialistica Ambulatoriale: «Spesso le donne che scelgono la carriera medica devono fare una scelta tra la maternità e il proprio lavoro. E chi, con coraggio, decide di non rinunciare ad una gravidanza lavora per tutta la durata della gestazione, finendo quasi per partorire in ambulatorio», ironizza la sindacalista.
Tra i motivi dello sciopero anche il rafforzamento della continuità assistenziale ospedale-territorio: «La fuga non deve essere negli ospedali, ma dagli ospedali – sottolinea Giovanni Senese, responsabile nazionale SMI per la continuità assistenziale -. In altre parole, i cittadini devono poter trovare risposte ai propri bisogni di cura sul territorio, senza doversi necessariamente recare in ospedale anche quando le condizioni di salute non lo rendono necessario. Medici di famiglia, di guardia, di emergenza-urgenza e del 118 sono il cardine dell’assistenza di prossimità. Tanto che una corretta integrazione sul territorio di tutti questi specialisti potrebbe evitare l’80% degli accessi in ospedale», assicura Senese.
A rivendicare i diritti dei medici di medicina generale è Gian Massimo Gioria, responsabile nazionale assistenza primaria SMI: «I medici di famiglia sono spesso poco considerati, nonostante lavorino da sempre in prima linea. E la pandemia ne è la dimostrazione: durante la gestione dell’emergenza sanitaria da Covid-19 sono quasi 300 i medici famiglia che hanno perso la vita, molti altri sono rimasti invalidi. Sono sempre stati la prima barriera, eppure vengono considerati nulla: c’è chi crede che lavorino solo 15 ore alla settimana e che siano dei fannulloni. Sono tutte considerazioni completamente false. Sono sempre stati un baluardo insostituibile del Ssn e, per questo – conclude Gioria – chiedono di essere trattati per ciò che realmente sono: il primo ed insostituibile punto di difesa della sanità pubblica».
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