La coordinatrice nazionale della federazione spiega i motivi dello stato di agitazione proclamato dall’intersindacale, che vanno al di là del contratto della dirigenza: «Avvertiamo una precisa volontà contraria alla sanità pubblica»
Inizierà il 17 ottobre la protesta di medici e dirigenti sanitari, che dalle ore 11.00 si ritroveranno in piazza Monte Citorio, a Roma, “per la sanità pubblica e la dignità del loro lavoro” e perché “colpire la sanità è colpire la salute”, come recita la locandina dell’intersindacale.
«Non protesteremo solo per il nostro contratto, ma soprattutto perché avvertiamo una precisa volontà contraria al Servizio Sanitario Nazionale». Sono le parole pronunciate ai nostri microfoni da Alessandra Di Tullio, coordinatore nazionale della Federazione Fassid, a margine della conferenza stampa dell’intersindacale in cui sono stati annunciati l’interruzione delle trattative con l’Aran per il rinnovo del contratto della dirigenza medica e sanitaria e lo stato di agitazione, che dopo il sit-in della prossima settimana culminerà in scioperi e manifestazioni.
Unica donna seduta al tavolo, la dottoressa Di Tullio ha dato voce ai sindacati riuniti nella federazione (Simet – Sindacato italiano medici del territorio, Snr – Sindacato nazionale area radiologica, Aipac – Associazione sindacale patologi clinici, Aupi – Associazione unitaria psicologi italiani e Sinafo – Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del SSN): «Io mi batto particolarmente per questo, non perché l’aspetto economico ed il contratto di noi medici non siano importanti – ha precisato la dottoressa Di Tullio – ma sono fortemente preoccupata per la tenuta del SSN».
Arriva quasi come una minaccia, quindi, il messaggio che la coordinatrice lancia al Governo e, in generale, al mondo della politica: «Vorrei ricordare che tutti i 60 milioni di italiani fruiranno, prima o poi, del Servizio Sanitario Nazionale, e molti esercitano il diritto di voto. Il SSN rappresenta anche la salute del Governo».
«Non vogliamo più improvvisazioni nella sanità – prosegue la Di Tullio -, vogliamo che tutto il problema venga risolto in maniera strutturale». A partire dall’ondata di pensionamenti cui il SSN sta assistendo e assisterà in maniera ancor più massiccia in caso di approvazione della “quota 100”, che rischia di lasciare vuote le corsie degli ospedali italiani: «Ma lo stipendio di un medico che sta per andare in pensione – spiega la dottoressa – ha un’entità che va dai 3mila ai 4mila euro; un giovane costa 2300 euro. Perché non sostituirlo, allora? Perché perdurare in questo blocco del turnover?».
Altro problema, poi, è quello dei posti letto per numero di abitanti, «inferiore a tutto il resto d’Europa. Abbiamo i Pronto soccorso pieni di gente – continua la Di Tullio – perché non abbiamo i posti dove ricoverarli». Centrale, in questo ragionamento, anche il ruolo del territorio, che «non è pronto a risolvere tutte le emergenze. Anche perché – spiega – sul territorio non è possibile ottenere una diagnosi multidisciplinare quale quella che si ottiene al Pronto soccorso, quindi chi ha un’emergenza andrà in ospedale ma poi non avrà un posto letto perché il numero è troppo basso».
La coordinatrice Fassid presenta quindi la ricetta in tre punti – ardua impresa – che potrebbe aiutare a risollevare il Sistema Sanitario Nazionale: «Migliorare le condizioni di lavoro, organizzare i servizi in modo da non dover più intervenire attraverso cooperative e sistemi di lavoro interinali e dare un pochino di soddisfazione economica agli operatori, perché un operatore soddisfatto è un operatore che lavora meglio e in tranquillità. E la nostra tranquillità – conclude – è la tranquillità del paziente».
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