Intervista all’avvocato Maurizio Hazan, tra i maggiori esperti di responsabilità professionale in sanità: «Una norma completa avrebbe dovuto non solo non limitarsi al penale, ma toccare anche il civile e tutelare le strutture»
Lo “scudo penale” per gli operatori sanitari in servizio durante l’emergenza Covid è «una norma principalmente estetica» e «di poca sostanza», in quanto, nel caso ad esempio di un medico vaccinatore, questi può rispondere solo per “colpa grave”, ovvero per essersi macchiato di un errore così abnorme da non poter essere lasciato impunito. Per restare nell’esempio del medico che somministra ad un paziente uno dei vaccini anti-Covid attualmente in circolazione, se questi sbaglia completamente l’anamnesi, e il paziente ne risente, rischia dunque una denuncia penale. «Ed è giusto che chi sbaglia paghi».
Ma perché l’avvocato Maurizio Hazan, tra i maggiori esperti di responsabilità professionale in sanità, definisce questo scudo un provvedimento “estetico”? Perché una norma del genere «tende a declinare l’ovvio, ovvero che un professionista sanitario non risponde penalmente, se non per colpa grave, laddove abbia agito in conformità alle indicazioni ricevute».
È questo uno dei motivi per cui inizialmente la categoria sanitaria si è dichiarata delusa, in quanto immaginava che, «attraverso il problema della vaccinazione, si potesse aprire la porta ad uno scudo penale più generico, che riguardasse tutte le attività rese durante l’emergenza Covid». E non solo nei casi in cui un paziente è, ad esempio, deceduto dopo essersi contagiato in corsia, ma anche in tutti quei casi in cui si sono registrati deficit di cure perché la pandemia ha scompaginato le agende terapeutiche, ha fatto saltare interventi già pianificati, ha costretto le strutture a riconvertire interi reparti.
L’aggiunta del comma 3bis al Decreto legge 44/2021 determina, spiega Hazan, «un ampliamento del concetto di responsabilità penale in emergenza, perché riguarda tutte le attività sanitarie che hanno dato luogo o ad un decesso o ad una lesione, e quindi dal punto di vista penale tutte le responsabilità in caso di omicidio o lesioni colpose esistono solo al verificarsi di una colpa grave», e non di un qualsiasi tipo di colpa. Ovviamente si parla di avvenimenti capitati durante la pandemia da Covid-19 e lo stato di emergenza.
Ricapitolando, oggi lo scudo vale solo per il penale (e non per il civile) e la valutazione del grado della colpa deve tener conto della limitatezza delle conoscenze scientifiche nella prima fase (almeno) della pandemia, la limitatezza delle conoscenze verso le terapie con cui combattere il SARS-CoV-2, scarsità di mezzi, e così via.
Ma quali sono i limiti di questa norma? Essenzialmente due: «Primo – spiega l’avvocato Hazan –, che non riguarda il civile; secondo, che non riguarda le strutture». Ciò cosa significa? Nel primo caso, ovvero l’assenza di uno scudo che protegga il sanitario da un processo civile, che lo stesso può essere denunciato e vedersi costretto a risarcire un paziente che lo aveva accusato di avergli provocato un danno. Nel secondo, che i pazienti possono tentare di rifarsi sulle strutture.
Per quanto riguarda il primo punto, Hazan ritiene che «non ci sarà una grossa mole di pazienti che denunceranno gli operatori sanitari civilmente». Il vero rischio per il Servizio sanitario nazionale si nasconderebbe invece nel secondo problema: una mole eccessiva di richieste di risarcimento verso le strutture potrebbe comportare un «collasso del Ssn e, di conseguenza, del settore della giustizia». Le strutture, molto più esposte rispetto al personale che ci lavora, potrebbero non reggere l’impatto.
Ma quindi, come si risolve una situazione del genere? In mancanza di regole diverse, e di fronte ad un complesso di strutture sanitarie arrivate inevitabilmente impreparate all’incontro con il nuovo coronavirus (sia dal punto di vista del personale che da quello organizzativo-strutturale), secondo l’avvocato Hazan la soluzione può essere «un sistema di solidarietà. L’unico che possa reggere il colpo, specialmente ora che grazie al Recovery Fund arriveranno tante risorse che, in parte, potrebbero essere dirottate verso questo fondo».
Non per forza, in conclusione, si deve «ricercare a tutti i costi un colpevole, un responsabile a cui far pagare un risarcimento per colpa grave», ma sarebbe forse preferibile avere un fondo dal quale prendere risorse per risarcire i pazienti danneggiati. «Per questi motivi – conclude l’avvocato Hazan – in molti ritengono che una norma completa avrebbe dovuto non solo non limitarsi al penale, ma toccare anche il civile e tutelare anche le strutture».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato