I sindacati di categoria lamentano le difficoltà organizzative nell’emergenza Coronavirus. Onotri (SMI): «Mancano protocolli standardizzati, in periferie non tutto sta andando per il meglio». Quici (Cimo-Fesmed): «Ospedali impreparati, mancano aree per l’isolamento. Carenza medici può peggiorare». Bottega (Nursind): «In alcune realtà c’è già carenza cronica, grande stress organizzativo». E aggiungono in coro: «Politici, ricordatevi di noi anche fuori dall’emergenza»
«Non ricordatevi del personale sanitario solo in momenti emergenziali come questo». Sembra essere un coro unanime quello dei sindacati di medici, infermieri e operatori sanitari, le figure professionali più esposte di fronte all’emergenza Coronavirus. Un sentimento diffuso da parte dei rappresentanti dei lavoratori che, pur senza fare polemiche, sottolineano la mancanza di adeguate misure per permettere al personale sanitario di lavorare nella massima sicurezza: l’estrema contagiosità del virus mette a repentaglio la salute degli operatori che, a volte anche inconsapevolmente, possono trasformarsi in propagatori del virus.
I MEDICI DI MEDICINA GENERALE
Tra i camici bianchi in prima linea ci sono i medici di base, che stanno pagando anche un elevato tributo, come testimoniano i due camici bianchi di Pavia, marito medico di famiglia e moglie pediatra, entrambi colpiti dal Covid-2019. «Siamo come soldati che vanno a combattere al fronte a mani nude» sottolinea a Sanità Informazione Enzo Scafuro, segretario del Sindacato Medici Italiani della Lombardia. «Siamo stati lasciati soli: dovremmo avere dei meccanismi di protezione personale che attualmente non abbiamo e che non ci consegnano». Poi aggiunge: «Noi abbiamo anche un grave rischio: potremmo essere anche eventualmente dei portatori sani e poi infettare qualcun altro tra cui i nostri familiari. Questo è un problema di sanità pubblica che abbiamo fatto presente sia all’assessore regionale che al presidente della Regione Lombardia».
Gli fa eco il segretario nazionale SMI Pina Onotri che, se da un lato invita ad avere fiducia nelle istituzioni, dall’altro sottolinea le problematiche che stanno colpendo soprattutto la medicina territoriale: «A livello periferico non tutto sta funzionando al meglio. Mancano protocolli standardizzati come invece avviene negli ospedali – sottolinea Onotri -. Ad esempio: le mascherine vanno messe anche nelle zone che non sono in allerta rossa? Se le dobbiamo mettere, chi ce le deve fornire? In attesa che qualcuno ce le fornisca proviamo comunque ad acquistarle ma non ci riusciamo perché non se ne trovano in giro. Ci troviamo a dover fare i conti con questo».
Un modo per evitare i contagi è anche quello di limitare al massimo l’approdo nello studio medico e, in questa fase, sburocratizzare il più possibile i medici. Secondo Onotri bisognerebbe concedere «l’autocertificazione fino a cinque giorni di malattia» ed evitare accessi inutili in studio con la «ricetta dematerializzata che è già realtà: dovremmo poter evitare anche di dare il promemoria». Ma ci sono anche punti delle disposizioni fin qui emanate che Onotri contesta: «Nell’ultima circolare del ministero c’è scritto, cosa che ci ha lasciato abbastanza perplessi, che in casi sospetti il medico di medicina generale o di un presidio di continuità debba visitare il paziente in un ambiente dedicato. Ma non vi sono ambienti dedicati negli studi dei medici di famiglia. Oppure c’è scritto che dovrebbe recarsi a domicilio e poi smaltire tutto quanto il vestiario. Ciò è impossibile perché noi non abbiamo nei nostri studi misure di biocontenimento».
I MEDICI OSPEDALIERI
Preoccupazioni e timori sono condivisi anche però dai medici ospedalieri, che in alcuni casi stanno vivendo situazioni difficili, come a Schiavonia, nel padovano, dove l’intero nosocomio è stato isolato e il personale sanitario sottoposto al tampone. «Ci si trova impreparati, non tutti gli ospedali hanno in questo momento i dispositivi di protezione individuale, non è stata fatta sufficiente formazione interna. Io ho avviato un questionario che ha già 123 risposte, da tutta Italia, ed emergono queste diversità. C’è grande disorganizzazione», sottolinea a Sanità Informazione Guido Quici, presidente della Federazione Cimo-Fesmed.
«Le mascherine in alcune aree stanno solo in Pronto soccorso, però chi sta in laboratorio e riceve duecento prelievi al giorno spesso non è dotato di queste mascherine. Non tutti hanno previsto delle aree di isolamento. Non tutti hanno previsto dei percorsi differenziati. In alcune aree risulta che ancora non c’è un protocollo uniforme. Siamo veramente in una fase iniziale dove si è stati presi in contropiede» rincara la dose Quici, che aggiunge: «Adesso tutti dicono ‘bravi i medici’, ma fino ad ora la politica dove è stata? Questa epidemia deve far riflettere sulla professione del medico, su come è necessario investire in sanità. Senza contare che, con tanti medici in isolamento o colpiti dal virus, la carenza di professionisti rischia di deflagrare».
Sulla stessa lunghezza d’onda sembra anche l’Anaao-Assomed, che in una nota sottolinea: «Regioni ed Aziende non pensino di scaricare sulle spalle dei soli medici ospedalieri il peso di una organizzazione emergenziale alla quale devono partecipare tutti i settori della medicina pubblica. E comincino con l’assicurare una comunicazione tempestiva e puntuale, anche sul cronoprogramma organizzativo, a tutti i soggetti coinvolti, i quali non possono essere lasciati senza indicazioni ufficiali, anche sulla quarantena fiduciaria, o segregati senza generi di prima necessità. Non è ammissibile, in particolare, la mancanza di idonei DPI, adducendo un esaurimento scorte da industria manufatturiera, o di una strutturazione di triage pre-ospedaliero, con ambulanze dedicate e spazi idonei “distinti e separati” dai PS, che contrasti il fenomeno di accesso “spontaneo” da parte di pazienti con sintomi respiratori per prevenire l’ovvio pericolo di diffusione del contagio in ambienti sovraffollati. Un solo malato ha fatto chiudere un ospedale ed ha contagiato cinque tra medici ed infermieri».
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GLI INFERMIERI
I problemi dei medici sono condivisi in larga parte anche da infermieri e personale sanitario. «È una situazione di particolare stress organizzativo – spiega Andrea Bottega, segretario nazionale Nursind -. In una situazione di epidemia tutte le strutture sanitarie sono prese d’assedio. In alcune realtà questo fenomeno si inserisce in uno stato di carenza cronica di personale e questo è un problema. Attualmente la situazione più difficile è quella di Lodi, per il resto c’è una risposta importante da parte dei colleghi. Ci piacerebbe che le istituzioni si ricordassero di noi non solo nel momento dell’estremo bisogno ma sempre. Se non ci fossero gli infermieri probabilmente la situazione potrebbe sfuggire la mano».
«Ci giungono segnalazioni allarmanti da territori colpiti dalla diffusione del Coronavirus circa l’assenza e/o la carenza dei dispositivi di protezione individuale (gel disinfettante, guanti, maschere, tute, camici e calzari) – aggiunge Nursing Up in una nota -: stiamo approfondendo la situazione con i nostri rappresentanti locali in quanto si parla dell’ABC delle dotazioni previste nei casi di alto contenimento. Non avrebbe dovuto esserci alcuna ‘sorpresa’, dal momento che l’allarme è stato lanciato da gennaio e dunque c’è stato il tempo di predisporre l’approvvigionamento dei materiali. Pertanto esigiamo che, al di là delle parole di gratitudine verso una categoria che si sta dimostrando esemplare, si approntino immediatamente tali DPI a garanzia dell’incolumità degli infermieri e degli altri professionisti sanitari coinvolti nell’opera di assistenza non solo ai pazienti infetti, ma anche ai casi sospetti, onde ovviare alla diffusione del contagio e alla messa in quarantena di altre unità operative intere».
«Gli infermieri – continua la nota – si stanno distinguendo per abnegazione e professionalità nella condivisa lotta di tutto il Paese e delle istituzioni a fronteggiare e scongiurare rischi di diffusione del Coronavirus. Continueranno a svolgere i propri compiti con altrettanta abnegazione e responsabilità, ma si rende necessaria, tuttavia, l’adozione di misure ulteriori altrettanto indispensabili per il bene della collettività».
Tutti sono chiamati a combattere anche un nemico ancora più insidioso, forse, del virus stesso, cioè la psicosi e il dilagare delle fake news: «Oggi avevo di fronte un ragazzo che mi ha detto: ‘ho preso l’antibiotico e ho letto che posso avere il coronavirus’. Ma bisogna stare attenti a quello che si legge online» conclude, un po’ sconsolato, Enzo Scafuro.
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