Lavoro e Professioni 6 Dicembre 2021 14:50

Smaltire le liste d’attesa e abbassare i costi per le strutture, la ricetta “Office Based” del professor Peretti di Genova

La pandemia ha allungato ulteriormente i tempi di attesa per interventi a bassa complessità non urgenti ma comunque fondamentali per la salute della popolazione. Il Direttore dell’Unità di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale San Martino di Genova spiega a Sanità Informazione cosa è possibile fare (e già si fa) ad aggirare l’ostacolo

La pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto sulla salute non solo di chi è risultato positivo al Sars-CoV-2, ma anche di chi ha dovuto rimandare interventi chirurgici anche importanti a causa del sopraffollamento degli ospedali e della mancanza del personale sanitario necessario, trasferito in questi mesi spesso in altri reparti per far fronte all’emergenza. Ma esiste una soluzione a questo ingolfamento? Si può fare qualcosa per smaltire le liste d’attesa e venire incontro alle esigenze dei pazienti, facendo al contempo risparmiare le strutture sui costi di particolari interventi? Una soluzione viene proposta, ai microfoni di Sanità Informazione, dal professor Giorgio Peretti, Direttore della Clinica di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale San Martino di Genova, che ci spiega come si può operare in regime Office Based.

Professore, com’è peggiorata la questione relativa alle lunghe liste d’attesa per interventi chirurgici? Cos’è cambiato dalla pandemia in poi?

«Il problema delle liste d’attesa riguarda soprattutto la patologia a bassa complessità, che in centri terziari come il nostro viene slatentizzata rispetto agli interventi oncologici e di alta complessità. La pandemia ha sicuramente enfatizzato il suddetto problema per l’impossibilità di far fronte a questo tipo di patologia che ha sempre rappresentato una criticità per gli ospedali ad alto volume. Molti cittadini richiedono infatti di essere operati in questi centri terziari ad alto volume di pazienti, ma le risorse a disposizione vengono utilizzate principalmente per la patologia oncologica e di alta complessità. Inoltre, durante la pandemia tutte le risorse, sia in termini di personale che di sale operatorie, sono state ridotte e destinate unicamente ai soli casi urgenti o molto avanzati. Questo ha determinato un ulteriore allungamento delle liste d’attesa, causando per un periodo molto lungo che si sta riflettendo anche adesso, la quasi impossibilità di far fronte a queste richieste per patologia a bassa complessità. Da qui nasce l’idea di creare un’alternativa all’iter terapeutico standard caratterizzato dal ricovero e dall’intervento chirurgico in sala operatoria, rappresentata, per alcune patologie selezionate, dalla possibilità di operare in un regime ambulatoriale. Con la suddetta modalità ambulatoriale è possibile infatti garantire al paziente la stessa qualità del risultato clinico, ma senza la necessità di ospedalizzazione e di una anestesia generale. Il paziente può quindi venire in ambulatorio ed essere sottoposto al trattamento chirurgico in anestesia locale e rientrare subito a casa dopo una breve osservazione. È ovvio che tutto questo presuppone un’organizzazione dedicata, sia in termini di personale, di ambiente di strumentario, al fine di garantire una prestazione di altissima qualità con risultato sovrapponibile alla chirurgia standard».

Ci può fare un esempio?

«Un esempio di estrema attualità è rappresentato dalla chirurgia laringea ambulatoriale che ho introdotto da circa un anno nella nostra Azienda. Per la sua realizzazione è però indispensabile attrezzarsi con video-endoscopi ad alta definizione, strumentario chirurgico dedicato e non ultimo laser idonei al trattamento di queste patologie selezionate. Le indicazioni principalmente rappresentate son rappresentate da patologie benigne laringee delle corde vocali come ad esempio polipi, paralisi, e dalla papillomatosi laringea, patologia virale sostenuta dall’HPV e che ha una possibilità di recrudescenza molto alta. A questo proposito, la chirurgia ambulatoriale ci è venuta particolarmente in aiuto permettendoci di monitorare il paziente e di evitare quella sequela di interventi in anestesia generale, spesse volte molto frequenti, che inevitabilmente in passato dovevano essere eseguiti in sala operatoria. Tutto questo genera ovviamente un forte malessere nel paziente e costi molto elevati per la struttura. Costi che molte volte non sono sostenibili perché, per i motivi che ho detto prima, non si tratta di patologie urgenti ma che devono essere comunque trattate nei tempi corretti, evitando attese troppo lunghe».

Ha spiegato che esiste questa tecnologia che da un lato migliora la qualità di vita del paziente, dall’altro fa risparmiare soldi pubblici. In teoria, una soluzione che ha solo vincitori. Quali sono le problematiche che non permettono di avviare anche su larga scala un’innovazione di questo tipo?

«Il problema è sostanzialmente organizzativo. Non tanto dal punto di vista tecnico perché abbiamo, ad oggi, tutta la tecnologia disponibile e la strumentazione dedicata per svolgere la chirurgia ambulatoriale ai massimi livelli e con altissima qualità. D’altra parte, però, non c’è disponibilità da parte delle aziende ad investire in questa direzione perché ad oggi non è garantito un adeguato ritorno economico. La chirurgia ambulatoriale non è ancora riconosciuta dal punto di vista economico e il rimborso per coprire le spese non è correttamente quantificato. Ciò che andrebbe definito dalle singole Regioni è l’introduzione del concetto di percorso ambulatoriale complesso, che possa coprire dal punto di vista delle aziende le spese vive di esecuzione. Da una attenta analisi dei costi di queste procedure, si evince che sono senza dubbio inferiori a quelli che un’azienda deve sostenere per lo stesso intervento eseguito in regime di ricovero ordinario e conseguente intervento in sala operatoria. In sintesi, curare la stessa patologia nello stesso paziente costerebbe circa il 40% in meno. Inoltre il regime ambulatoriale permetterebbe di smaltire le liste d’attesa con più rapidità, venir incontro all’esigenza della cittadinanza, particolarmente sentita in questo momento storico, ridurre il più possibile gli accessi e i ricoveri in ospedale, oltre che ottimizzare l’occupazione dei posti letto. In conclusione, possiamo garantire una prestazione con la medesima qualità, con la massima soddisfazione del paziente e con un risparmio globale dei costi, a fronte di un investimento iniziale che può essere ammortizzato velocemente nel medio termine. Sarebbe però auspicabile un impegno, da parte delle istituzioni, per riconoscere questo tipo di chirurgia e dargli una veste, dal punto di vista economico, di prestazione ambulatoriale complessa. Al contrario, continuando ad eseguire suddetta chirurgia nella modalità standard, l’azienda andrà inevitabilmente in perdita, in quanto i costi da sostenere non possono essere coperti dal semplice pagamento di un ticket per visita specialistica. Bisogna dunque adeguare il ticket e customizzarlo su questa prestazione che, ripeto, costerà sempre meno rispetto alla stessa prestazione eseguita in modo standard».

Visto che si tratta di un approccio innovativo, c’è anche bisogno di una formazione adeguata?

«Ovviamente sì. È indispensabile una formazione in questa direzione, innanzitutto per una corretta selezione del paziente e poi anche per l’apprendimento della tecnica chirurgica che sicuramente è molto peculiare e richiede una manualità particolare completamente diversa dalla chirurgia tradizionale. Ci può essere senza dubbio uno scambio di informazioni tra i vari chirurghi ma è indispensabile che questa formazione sia graduale per raggiungere dei risultati ottimali. Noi abbiamo avuto molte richieste di questo tipo da parte di colleghi, e dunque ci siamo sentiti obbligati ad istituire alcuni corsi di formazione proprio per rendere fruibile questa chirurgia alla maggior parte dei nostri colleghi e alla maggior parte delle aziende».

 

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