A Lecce da sette anni opera il Centro NAD, una rete di specialisti che segue il paziente dall’ospedale al domicilio sotto il profilo della nutrizione clinica. Oltre 2mila i pazienti in cura
«I bisogni profondi del paziente vengono drammaticamente fuori durante l’accesso domiciliare dove il paziente è all’interno del proprio habitat e si sente anche più tranquillo di trasmettere al medico i propri sintomi ma anche i bisogni della propria vita». Piero Luigi Caroli, direttore della rete aziendale ospedaliero-territoriale di dietetica e nutrizione clinica, centro NAD, ASL Lecce, racconta ai microfoni di Sanità Informazione l’esperienza che sta portando avanti nel Salento dove ormai da sette anni ha avviato un esperimento di presa in cura del paziente sotto il profilo della nutrizione clinica che lo accompagna dall’ospedale al domicilio. Una esperienza che Caroli ha raccontato al recente Congresso SINUC, Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo, ad Ancona, e che presto potrebbe essere adottata dall’intera Regione Puglia. «Il fatto di vedere lo stesso medico che ti ha visto in ospedale e dare al caregiver un referente sicuro abbassa il livello di ansia e il paziente si sente più tutelato e meglio curato» spiega Caroli. Il team comprende medici, infermieri e dietisti e intercetta le problematiche malnutrizionali del paziente sia durante il ricovero con consulenze ospedaliere classiche, sia seguendo il paziente quando viene dimesso dall’ospedale quando a domicilio ha bisogno della nutrizione enterale o parenterale. Oltre duemila i pazienti seguiti dalla rete guidata dal dottor Caroli.
LEGGI ANCHE: MALNUTRIZIONE, MOLFINO (SINUC): «PERCORSI NUTRIZIONALI NELLE ASL PER AIUTARE A COMBATTERE CANCRO E ALTRE PATOLOGIE»
Un’esperienza originale che sta coordinando nel Salento che riguarda l’assistenza domiciliare tra Ospedale e territorio. Di cosa si tratta?
«Premesso che la malnutrizione è una condizione clinica trasversale che interessa praticamente tutta la medicina e che spesso è una condizione trascurata dalla maggior parte dei medici, ho avuto modo nelle esperienze che ho fatto sia in ospedale che sul territorio, di vedere la dicotomia che c’era, la mancata integrazione tra le necessità che il paziente presenta quando è ospedalizzato e quelle che presenta al proprio domicilio. Per questo è nata in me la ferma convinzione che qualora dovesse nascere. Così è nato un servizio di dietetica e nutrizione clinica, il Centro NAD, con l’imperativo di prendere in carico tutte le problematiche del paziente indipendentemente dal fatto che fosse ricoverato o fosse nel proprio domicilio. Abbiamo quindi costruito un lavoro di rete che coinvolge 28 persone, medici, infermieri e dietisti che quindi intercetta le problematiche malnutrizionali del paziente sia durante il ricovero con consulenze ospedaliere classiche, sia seguendo il paziente quando viene dimesso dall’ospedale quando a domicilio ha bisogno della nutrizione enterale o parenterale e comunque segue il paziente a domicilio. Questo aumenta moltissimo la relazione tra noi e il paziente perchè vedendo sempre gli stessi visi, sempre le stesse persone, chiaramente il paziente si sente maggiormente tutelato e protetto. In passato invece accadeva che il paziente dimesso dall’ospedale andava a casa ed era un po’ abbandonato a se stesso perché non c’è relazione tra il medico ospedaliero e quello di base, e viceversa quando il medico di base cerca di ospedalizzare per eventuali complicanze o altri motivi il proprio paziente trova ovviamente liste di attesa interminabili e altre problematiche. Aver creato un canale preferenziale che appunto prende in carico il paziente sia durante il ricovero ospedaliero sia durante la dimissione ospedaliera e viceversa dal territorio all’ospedale a mio avviso rappresenta la vera novità di questo modello ospedaliero territoriale di gestione della malnutrizione».
Come è stato accolto questo modello dalla sanità regionale?
«Molto bene. È stato identificato Lecce come centro pilota e quindi siamo monitorati dalla Regione Puglia. Siamo al settimo anno di attività ma se le risultanze si dimostrassero fortemente positive può essere esportato in tutte le province della Puglia».
Avete già dei dati per quantificare il risultato di questo modello?
«In questi sette anni abbiamo visto 12mila pazienti, però pazienti attivi, perché purtroppo i pazienti muoiono a causa della patologia di base che è causa della malnutrizione, ce ne sono 2100: di questi la metà afferiscono alla nostra rete per problematiche di dietetica nutrizionale, semplici piani terapeutici nutrizionali per curare le malattie di base: penso al diabete, all’ipertensione, all’insufficienza renale, alle malattie croniche intestinali ecc. Gli altri mille si distribuiscono tra soggetti che hanno bisogno solo di una integrazione nutrizionale orale, soggetti che sono in nutrizione enterale, circa 350 persone, e soggetti trattati domiciliarmente in parenterale, 74 pazienti».
Andare a casa delle persone è sempre una cosa delicata…
«Il trauma è stato scoprire, andando a casa dei pazienti che è solo a domicilio che il paziente ti manifesta i suoi reali bisogni. L’ospedalizzazione per le sue caratteristiche quali le acuzie, lo stare in pigiama, l’essere accanto ad altre persone in altri letti, non permette al paziente di esprimere realmente i suoi bisogni profondi che invece vengono drammaticamente fuori durante l’accesso domiciliare dove il paziente è all’interno del proprio habitat e si sente anche più tranquillo di trasmettere al medico i propri sintomi ma anche i bisogni della propria vita. Perché dietro alcune patologie può anche esserci un disagio esistenziale: penso a un paziente con SLA, con demenza senile e quindi le problematiche che investono tutte le persone che gli girano intorno. Perché i caregiver hanno problematiche importanti. Toccare con mano e cercare di venire incontro a queste esigenze, al di là del semplice sondino, mi ha permesso di vedere l’altra parte della medaglia. Io sono un medico ospedaliero ma avevo una visione molto parziale dei bisogni della struttura ‘sanità’. Perché territorio, domicilio e ospedale difficilmente dialogano».
Voi per i caregiver siete una boccata d’ossigeno…
«Il fatto di vedere lo stesso medico che ti ha visto in ospedale e dare al caregiver un referente sicuro abbassa il livello di ansia e il paziente si sente più tutelato e meglio curato».