Il caso è relativo alla vicenda di una donna ricoverata in una casa di cura che, dopo un’amniocentesi, veniva lasciata dal proprio medico alle cure di una specializzanda che però non era stata in grado di assisterla in modo appropriato
È una sentenza destinata a far discutere la numero 26311 della Corte di Cassazione che ieri ha ribadito che il medico specializzando «non è un mero esecutore di ordini e può rispondere delle attività che ha compiuto, pur non essendo in grado di compierle».
Una specifica che, seguendo un orientamento consolidato, ricorda che il giovane medico «compie delle attività mediche e può ben essere chiamato a risponderne penalmente».
La sentenza è destinata a far discutere perché arriva in un momento in cui alcune Regioni sono partite con l’introduzione di medici specializzandi in corsia per rispondere alla cronica carenza di camici bianchi. Un fronte che vede contrari i sindacati dei medici.
Il caso affrontato dalla Cassazione è relativo alla vicenda di una donna ricoverata in una casa di cura che, dopo un’amniocentesi, veniva lasciata dal proprio medico alle cure di una specializzanda che però non era stata in grado di assisterla in modo appropriato. Per la donna erano sopraggiunte complicazioni che avevano portato ad un aborto e ad un grave shock settico. Questo peggioramento del quadro clinico ha avuto come conseguenza la perdita della capacità di procreare e una insufficienza renale cronica. Per il medico, la specializzanda e la casa di cura è stata quindi confermata la condanna.
Il fatto che si tratti di un medico, anche se specializzando, fa prevedere che una certa autonomia gli vada comunque riconosciuta e comunque la circostanza di essere in formazione specialistica comporta che ogni attività debba essere sempre svolta sotto le direttive del tutore.
Per la Cassazione «va rammentato che secondo la giurisprudenza penale di questa Corte il medico specializzando non è presente nella struttura per la sola formazione professionale, né lo specializzando può essere considerato un mero esecutore d’ordini del tutore anche se non gode di piena autonomia; si tratta di un’autonomia che non può essere disconosciuta, trattandosi di persone che hanno conseguito la laurea in medicina e chirurgia e, pur tuttavia, essendo in corso la formazione specialistica, l’attività non può che essere caratterizzata da limitati margini di autonomia in un’attività svolta sotto le direttive del tutore».
La Cassazione va oltre e specifica che lo specializzando chiamato a svolgere attività che non è in grado di compiere (o che non si ritiene in grado di compiere) deve rifiutarne lo svolgimento. In caso contrario, se ne assume la responsabilità sotto tutti i punti di vista e la colpa è «per assunzione» che, come ricordato dalla stessa Cassazione, è riscontrabile in chi che «cagiona un evento dannoso essendosi assunto un compito che non è in grado di svolgere secondo il livello di diligenza richiesto all’agente modello di riferimento».