La situazione in Italia resta grave e la pressione sugli ospedali non si alleggerisce. Medici e infermieri lavorano senza sosta, al limite delle forze. Ma devono difendersi anche dal fuoco amico
Da eroi a vittime. È amaro il sorriso di chi lotta tutti i giorni per salvare vite umane nei reparti Covid degli ospedali italiani. Medici, professionisti sanitari e operatori sociosanitari sono allo stremo delle forze, sfiniti fisicamente: non hanno avuto il tempo di metabolizzare e smaltire la stanchezza accumulata nella prima ondata che la seconda si è abbattuta prepotentemente su di loro.
La fase della pandemia che stiamo vivendo si sta rivelando sempre più faticosa e impegnativa per il personale sanitario. Carenza di personale specializzato, errori di programmazione, turni massacranti, blocco delle assunzioni e mancanza di organizzazione li hanno assai demoralizzati, ma la vera mortificazione è doversi difendere anche dal fuoco amico, dagli attacchi e dalla mancanza di riconoscenza dei cittadini. Quel sentimento di vicinanza che univa i professionisti sanitari alla popolazione, così vivo a marzo, sembra essersi affievolito per lasciar spazio a manifestazioni di aggressività, ignoranza e ingratitudine. Anziché ricevere solidarietà, arrivano offese, provocazioni e perfino aggressioni fisiche. “Stanchi di cosa?” e “Lo hai scelto tu, è il tuo lavoro, fai solo il tuo dovere e sei pagato per farlo” sono gli insulti che più spesso si leggono sui social.
Pagano gli appelli al rispetto delle regole oppure la mancanza delle dosi vaccinali. La casa della salute di Rubiera di Reggio-Emilia ha segnalato che alcuni utenti «si rivolgono in modo sgarbato e con linguaggio offensivo al personale. Questo è del tutto inaccettabile – sostiene il sindaco Emanuele Cavallaro – il personale medico non ha il potere di creare il vaccino dal nulla».
Considerati il capro espiatorio delle debolezze del sistema – posti letto che mancano, file al pronto soccorso, inefficienze territoriali – ci si dimentica che sono loro a lottare al fronte contro il virus, ad assistere al meglio i malati negli ospedali, oggi come a marzo, a fare il conto di colleghi, familiari e amici contagiati o, peggio, deceduti. I malati aumentano, così come medici e infermieri contagiati.
Martina Benedetti, l’infermiera che divenne il simbolo del sacrificio dei sanitari grazie alla foto pubblicata sui social in cui mostrava i segni lasciati sul viso dai dispositivi di protezione, è molto rammaricata: «Nella prima fase venivamo celebrati come eroi, con i canti e gli applausi dai balconi, adesso abbiamo visto vari fenomeni aberranti, come i negazionisti o i no mask. Varie categorie di persone se la sono presa con noi» evidenzia nel format “I Lunatici” su Rai Radio2. «Da eroi – sottolinea Martina – siamo diventati assassini, oppure ‘assicurati’, quelli con lo stipendio statale, che devono stare zitti. Io e i miei colleghi siamo basiti, dopo tutto l’impegno che abbiamo messo a marzo e aprile e stiamo mettendo ora. Ti fa male» ammette.
Anche la dottoressa Alessandra D’Angelo, medico palermitano che lavora all’ospedale Covid di Partinico, si esprime con amarezza all’Adnkronos: «Per alcuni siamo diventati degli ‘speculatori’, se non degli ‘untori’. Tutto questo è molto triste. E fa male». Ma è il menefreghismo e la mancanza di responsabilità a preoccuparla: «Dobbiamo affrontare a mani nude, inermi, questa valanga, questo tsunami – spiega -. Ecco perché fa male sentire tante cose orribili sui social, con gente che ci attacca. Noi facciamo solo il nostro mestiere -conclude -. Non c’è bisogno di esibirci, siamo lì per questo». Non pretendono di essere chiamati eroi, ma il rispetto, quello sì.
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