Si è svolto questa mattina l’incontro sull’atto di indirizzo che si occupa anche dei tamponi rapidi e dei macchinari per la diagnostica di primo livello. Domani la riunione con Sisac sull’Acn
«I medici di famiglia saranno preziosi alleati nella strategia di contrasto al Covid-19». Sono le parole pronunciate ieri, nel corso della conferenza stampa di presentazione del nuovo DPCM, da parte del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E questa mattina i sindacati di categoria hanno incontrato il comitato di settore della Conferenza Stato-Regioni per discutere dell’atto di indirizzo che prevede anche le modalità con cui i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta potrebbero effettuare i tamponi rapidi ai pazienti. Domani previsti gli incontri con la Sisac sull’Acn dei medici di Medicina generale ed i pediatri. Serrato, quindi, il calendario: il governo vuole chiudere la partita in dieci giorni, confermando la disponibilità di una copertura economica. Anche se ancora non si è parlato di cifre.
Appare compatto il fronte dei medici di famiglia: le organizzazioni sindacali hanno confermato la disponibilità della categoria a dare il proprio contributo per effettuare i tamponi, ma non nei propri studi. «Prima di tutto la sicurezza – commenta a Sanità Informazione Pina Onotri, segretario dello SMI, presente al tavolo -. Abbiamo fatto presente che la maggior parte degli studi dei medici di famiglia sono in condomini, dove non è possibile effettuare tamponi garantendo la sicurezza del medico e dei pazienti».
«Chiediamo da tempo il coinvolgimento dei medici di famiglia sui tamponi – aggiunge Domenico Crisarà, vicesegretario nazionale della Fimmg -. Ma il problema non è coinvolgere i medici, è dare la struttura ai medici per poter essere coinvolti. Io lavoro in una Medicina di gruppo con sei colleghi e tre segretarie, ed è dai primi di ottobre che faccio regolarmente i tamponi prima e dopo l’orario di studio. Ma molti in Italia non hanno la struttura che ho io, e non si può pensare che possano costruirla col proprio stipendio».
«È più facile organizzare in sicurezza le strutture in cui i medici lavorano in forma associata, come le Case della salute o le Unità complesse di cure primarie – aggiunge Biagio Papotto in rappresentanza dell’Intesa sindacale (Cisl Medici, Fp Cgil Medici, Simet e Sumai) –. Abbiamo quindi chiesto che si intervenga con i dipartimenti di igiene in modo da identificare delle strutture idonee a svolgere queste attività, mettendo tutti i medici di Medicina generale nelle condizioni di parteciparvi, su base volontaria».
Ed è anche sulla volontarietà dell’adesione che si prevedono incontri intensi: «Qualora fosse obbligatoria, avrei delle serie perplessità – commenta Pina Onotri -. I medici di famiglia hanno un’età media molto alta e il nostro lavoro è già aumentato esponenzialmente per supportare le strutture pubbliche in affanno. Lavoriamo 60-70 ore a settimana, riceviamo 100-150 chiamate al giorno, effettuiamo in tutta Italia 14 milioni di visite quotidianamente. È bene quindi che chi si trovi nelle condizioni fisiche e organizzative idonee a fare anche i tamponi lo faccia. Ma non si può imporre a medici di famiglia già oberati di lavoro di occuparsi anche dei tamponi. Anche perché – puntualizza la Onotri – non si può trasformare tutto in Covid. La medicina territoriale non può fare la fine degli ospedali che si dedicano ai malati Covid trascurando tutti gli altri».
Sulla lunghezza d’onda dei suoi colleghi anche Andrea Filippi, segretario nazionale Fp Cgil Medici, che sottolinea però con maggior enfasi il tema della retribuzione: «La prestazione verrebbe pagata ai medici di base e ai pediatri di libera scelta, ma non a tutti gli altri medici di Medicina generale, come quelli di continuità assistenziale e di emergenza-urgenza, per i quali l’onorario sarebbe già contemplato nella tariffa oraria. Beh, per noi questo è inaccettabile, significa creare medici di serie A e di serie B. Ma ad ogni modo, le risorse aggiuntive non possono giustificare l’assenza di sicurezza. Non si può pensare “visto che ti pago, ti faccio fare i tamponi non in sicurezza”. È un controsenso che non accetteremo mai. Prima mettiamo il personale in sicurezza, e poi pensiamo alla retribuzione, se deve essere effettivamente integrata».
Il secondo tema che ha monopolizzato la discussione riguarda i fondi per i macchinari per la diagnostica di primo livello negli studi dei medici di famiglia. Quei 235 milioni di euro stanziati lo scorso anno che ancora non hanno visto la luce. Fortemente voluti dalla Fimmg, era stato il ministro Speranza, proprio al Congresso della Federazione, ad esortare lo sblocco delle risorse. Ma su questo tema, il fronte sindacale appare più spaccato. «Abbiamo enormi perplessità – il commento di Papotto -. Sarebbe opportuno mettere queste apparecchiature in strutture in cui i medici possano lavorare in forme associate, anche con specialisti, come le Case della salute o le UCCP, perché abbiamo delle incertezze circa la capacità del singolo medico di famiglia di utilizzarle. Rischiamo di acquistare dei macchinari che nessuno saprebbe utilizzare o manutenere, visto che la manutenzione sarebbe a carico dei medici stessi».
Una posizione condivisa da Pina Onotri e da Andrea Filippi, che aggiunge: «L’utilizzo di apparecchiature è pericoloso soprattutto quando sono utilizzate male. Perché è molto più pericolosa una diagnosi sbagliata che una non diagnosi. Qui rischiamo un danno erariale, e se vogliamo evitarlo questi macchinari andrebbero destinati alle Case della salute».
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