Il responsabile del laboratorio di informatica medica dell’IRCCS “Mario Negri” sottolinea che in Italia bisognerebbe fare di più: «Gli investimenti arrivano prevalentemente dal settore privato, il settore pubblico è ancora molto indietro». Oltre 250mila le app che interessano la salute
Il futuro della medicina è sempre più digitale. L’irruzione della tecnologia in ambito medico è una grande opportunità sia per l’efficacia che per la riduzione dei costi delle cure. A trarne beneficio sono soprattutto anziani fragili e caregiver che li accudiscono. È stato questo uno dei temi della conferenza “Presa in carico assistenziale e terapeutica del paziente anziano” organizzata da Onda e Daiichi Sankyo. Tra i relatori anche Eugenio Santoro, responsabile del laboratorio di informatica medica dell’IRCCS “Mario Negri”, che ha fatto il punto sullo stato dell’arte della telemedicina in Italia, un bilancio in chiaroscuro. «Siamo a buon punto ma dovremmo fare molto di più. In Inghilterra, Stati Uniti e Nord Europa stanno puntando molto sulla cosiddetta digital health, perché ci si è resi conto che per risolvere tutta una serie di problemi legati alla carenza di personale inevitabilmente bisogna spostare risorse per gestire il paziente direttamente da casa» ha sottolineato Santoro.
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Oggi si contano oltre 250mila app che interessano la salute, e tra queste numerose sono le soluzioni studiate specificatamente per gli anziani e per facilitare il lavoro di chi se ne prende cura: sensori e braccialetti intelligenti che monitorano la postura e identificano eventuali cadute, sistemi automatici di identificazione di possibili nuove patologie o di monitoraggio di quelle in corso, app per smarthphone e tablet che favoriscono una maggiore aderenza al trattamento farmacologico, e sistemi che fanno uso della gamification per favorire la riabilitazione. Tuttavia, affinché tali strumenti possano trovare una reale applicazione è necessaria una validazione scientifica, ad oggi ancora carente, mediante la conduzione di sperimentazioni cliniche che facciano uso di una metodologia di ricerca rigorosa. «Servono studi scientifici che dimostrino che questi strumenti riescono a fare meglio rispetto a quello che si sta facendo oggi», sottolinea Santoro.
Dottore, cosa si sta facendo in Italia nel campo della telemedicina? Ci sono investimenti sufficienti?
«Ci sono investimenti che arrivano prevalentemente dal settore privato, il settore pubblico è ancora molto indietro da questo punto di vista. Esistono applicazioni che hanno a che fare con il concetto di prevenzione, che è una delle aree in forte espansione, ma anche con la gestione delle patologie, soprattutto quelle croniche. Siamo a buon punto ma dovremmo fare molto di più perché per esempio in Inghilterra, citando uno dei casi più noti, gli investimenti sono numerosi, stanno puntando molto sulla cosiddetta digital health, così come negli Stati Uniti e in tanti altri Paesi europei, soprattutto quelli del Nord. Lì gli investimenti sono davvero pubblici perché ci si è resi conto che per risolvere tutta una serie di problemi legati alla carenza di personale inevitabilmente bisogna spostare risorse per gestire il paziente direttamente da casa».
Dal punto di vista pratico, in che modo la digital health, le app e le terapie digitali possono aiutare il paziente e il caregiver?
«Esistono delle esperienze nell’ambito, per esempio, della gestione dei pazienti diabetici piuttosto che della riduzione del rischio e di incorrere in patologie legate a stili di vita che non sono salutari. Nell’ambito delle riabilitazioni esistono esperienze che consentono di far fare gli esercizi ai pazienti direttamente a casa utilizzando strumenti all’avanguardia come per esempio la realtà virtuale. L’area in cui sono molte le aspettative è quella dell’aderenza alle terapie. Già soltanto il ricordare attraverso una semplice applicazione o altri strumenti quando è il momento di prendere il farmaco si è dimostrato in molti studi essere molto efficace rispetto a quello che oggi succede per ricordare di prendere la terapia. Altri esempi riguardano il telemonitoraggio da casa: adesso con la sensoristica molti dati possono essere raccolti da casa e allertare, quando è il caso, un centro di ascolto che sta fuori dall’abitazione del paziente. Queste sono le esperienze che vengono fatte, ma mancano le prove di efficacia, studi scientifici che dimostrino che questi strumenti riescono a fare meglio rispetto a quello che si sta facendo oggi, andando a individuare degli esiti di salute che sono facilmente misurabili, come la riospedalizzazione, il livello di emoglobina glicata, il livello pressorio, ecc. Andare a vedere se l’impiego di questi strumenti riesce a ridurre questi parametri rispetto a quanto si sta facendo oggi. In assenza di questo genere di prove è difficile poter proporre delle soluzioni tecnologiche anche al medico, il quale è abituato, partendo dai farmaci, ad avere prove inequivocabili della loro reale efficacia prima di poterli utilizzare. E poi sono soprattutto prove che servono agli enti regolatori e a chi deve giustificare ed eventualmente rimborsare questo genere di strumenti».
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