Martina Ruffini, terapista occupazionale pediatrica, racconta a Sanità Informazione la storia di Francesca e di come attraverso il suo percorso terapeutico individuale, cominciato durante l’infanzia, abbia imparato prima a prendersi cura di sé e poi ad aiutare i membri della sua famiglia nelle faccende domestiche
Francesca ha 15 anni ed oggi quando si guarda si allo specchio è soddisfatta dell’immagine di sé: ha sempre i capelli in ordine, allisciati con la piastra, ha il viso accuratamente truccato e lo smalto alle unghie. Acconciature e make-up che per una ragazza della sua età potrebbero essere di ordinaria routine per lei, invece, sono dei veri e propri traguardi, conquistati dopo anni ed anni di terapia occupazionale.
«Francesca – racconta Martina Ruffini, la terapista occupazionale pediatrica che si occupa di lei fin dall’infanzia – ha una malattia rara che le ha causato un ritardo cognitivo e le impedisce sia di comprendere che di esprimersi attraverso il linguaggio verbale. Per questo, abbiamo costruito il nostro percorso terapeutico partendo dalle autonomie di base, come fare la doccia e mangiare da sola, fino ad ampliare le sue competenze verso attività più complesse, come preparare un pasto».
La terapia occupazionale non si limita a migliorare le competenze pratiche, ma aiuta ad aumentare anche la propria autostima. «Oggi, Francesca, non solo è in grado di provvedere alla cura di sé, ma riesce anche ad essere d’aiuto in casa – racconta Ruffini -. È in grado di preparare un piccolo pasto per tutta la famiglia, sa apparecchiare la tavola. In altre parole, può rendersi utile agli altri e questo l’aiuta a sentirsi un membro della famiglia a tutti gli effetti».
Una volta acquisite le competenze di base, quelle che rendono una persona sufficientemente autonoma nel quotidiano, il terapista occupazionale può dedicarsi a far emergere desideri e passioni individuali. «Inizialmente, non potendo utilizzare il linguaggio verbale come mezzo di comunicazione – spiega la terapista occupazionale pediatrica – non è stato semplice capire cosa potesse piacerle. Pian piano abbiamo stabilito il nostro canale di comunicazione, basato soprattutto sull’utilizzo delle immagini, cosicché oggi possiamo decidere insieme ed immediatamente a quale attività dedicarci. Sicuramente la cura della persona e le creazioni culinarie sono le sue preferite».
Più in generale, il terapista occupazionale nell’età evolutiva lavora affinché il bambino possa amplificare e migliorare le sue capacità e raggiungere il massimo grado di autonomia possibile, a seconda della patologia di cui soffre. «Laddove possibile, e una volta apprese le competenze di base, si lavora sulla socialità e su tutto ciò la rende possibile, compresa l’eventualità di prendere un mezzo di trasporto pubblico e muoversi in autonomia, o fare una piccola spesa al supermercato».
Il terapista occupazionale lavora con bambini con paralisi cerebrale infantile, autismo, affetti da disturbi dell’apprendimento e tante altre patologie. «Questo professionista sanitario potrebbe essere potenzialmente collocato in tutti i luoghi – dice Ruffini -. La sua presenza dovrebbe essere garantita in tutti centri riabilitativi, ma spesso è più facile trovarlo nelle strutture private, anche se – conclude la terapista occupazionale pediatrica – sarebbe auspicabile che la sua professionalità fosse estesa e garantita in tutti gli ambulatori che operano in convenzione con il SSN».
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