La professionista sanitaria: «Sarà una specializzazione sempre più richiesta dopo l’approvazione della legge che vincola tutte le Regioni ad attuare le reti assistenziale di cure palliative»
È probabile che se qualcuno avesse la possibilità di esprime un desiderio penserebbe a qualcosa di eclatante, ad un’esperienza mozzafiato. Ma, è altrettanto probabile, che se si trattasse di un ultimo desiderio e ad esprimerlo fosse una persona in fin di vita, allo stremo delle forze, potrebbe desiderare un semplice gesto quotidiano, da compiere ancora una volta, l’ultima appunto. Ed è proprio questo l’obiettivo dei terapisti occupazionali, impiegati nella rete di cure palliative: aiutare chi è in fin di vita ad essere ancora protagonista della propria esistenza.
«È nostro compito – spiega Francesca Quaranta, terapista occupazionale – distogliere l’attenzione da quella sensazione di attesa, l’attesa di una fine inevitabile. C’è chi ha chiesto di preparare il pranzo per il proprio nipotino, proprio come faceva d’abitudine al suo rientro da scuola. Chi ha voluto scolpire il suo ultimo sottopentola in legno o tessere ancora un paio di orecchini all’uncinetto. In molti casi è stato possibile, in altri il tempo è trascorso troppo veloce».
Che lavori in un hospice o a domicilio, il terapista occupazionale opera all’interno di un’équipe specializzata, solitamente composta da: medico, psicologo, infermiere assistente sociale, fisioterapista. «Grazie al supporto di altre figure professionali – commenta Quaranta – stimoliamo la persona a compiere delle azioni, nei limiti consentiti dalla patologia di cui soffre, in grado di fargli trovare quella dignità che, tante volte, sembra aver perduto».
Le persone care sono un supporto fondamentale. «È necessaria la collaborazione dei familiari che, spesso, tendono a sostituirsi ai loro cari, temendo che qualsiasi azione gli costi troppa fatica. Invece – dice la terapista occupazionale – è necessario che le parole “lo faccio io” siano sostituite da “possiamo farlo insieme” o che comunque si trovi un modo alternativo affinché il malato possa compiere un determinato gesto anche in autonomia».
In altre parole, il terapista occupazionale ri-abilita i malati terminali ad una o più azioni. «Anche se – sottolinea Quaranta – nell’ambito delle cure palliative il termine riabilitazione ha un’accezione un po’ diversa da quella comunemente intesa. Il terapista occupazionale di solito attua il progetto riabilitativo in un programma a lungo termine, mentre nelle cure palliative il tempo è sempre troppo poco. Cerchiamo di far sentire queste persone ancora attive, tirandole fuori da un’angosciante attesa passiva».
Il binomio cure palliative-terapista occupazionale è ancora poco conosciuto, «ma – sottolinea la professionista sanitaria – sono certa che sarà sempre più diffuso anche alla luce dell’emendamento approvato nel mese di luglio che vincola le Regioni ad attuare le reti assistenziale di cure palliative. Saranno sempre di più i terapisti occupazionali che, inseriti nella rete di cure palliative, potranno riempire il tempo e soprattutto il cuore dei malati terminali, rendendo migliori gli ultimi giorni della loro vita».
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