Il presidente della commissione di Albo nazionale dei Dietisti Marco Tonelli mette in guardia sulla scarsa attenzione alla nutrizione: «Nel nostro Ssn abbiamo servizi di dietetica o ambulatori di nutrizione clinica che sono carenti o inesistenti, dipartimenti di prevenzione senza dietisti o l’assistenza domiciliare in ambito nutrizionale carente o inesistente»
«Sono non più di 1500 i dietisti assunti nel SSN in tutta Italia e ci sono intere strutture ospedaliere e territoriali sguarnite di professionisti che si occupano di nutrizione e dietetica (medici e dietisti), soprattutto nelle regioni del Sud». La denuncia arriva da Marco Tonelli, presidente della commissione di Albo nazionale dei Dietisti, professione confluita nel maxi ordine TSRM PSTRP. Parole che arrivano a qualche settimana dalla riunione della Federazione europea dei dietisti EFAD che a Budapest hanno redatto una risoluzione che raccomanda fortemente la presenza dell’assistenza dietetica all’interno dei sistemi sanitari di ciascun paese e nel contesto della sanità pubblica. Parole però che al momento non trovano riscontro nel nostro Paese: servirebbero risorse e una attenzione alla nutrizione che al momento è carente nel nostro Sistema sanitario. Eppure, una adeguata assistenza nutrizionale può essere decisiva per evitare riospedalizzazioni e accorciare le degenze in alcune patologie, come ricorda Tonelli: «In alcune patologie l’alimentazione diventa terapia: fa in modo che queste patologie non creino danni d’organo o che al momento in cui abbiano creato danni d’organo non aggravino questi danni. Penso inoltre alle malattie renali, alle malattie neurologiche, a pazienti che hanno avuto ictus o pazienti con malattia di Alzheimer o con sclerosi multipla, ai malati oncologici». C’è poi la piaga dell’abusivismo, alimentata dal web, ma anche da master universitari che non sempre possono garantire la giusta preparazione: «Dispensare consigli o vere e proprie diete senza averne titolo sono comportamenti inappropriati e si configurano di fatto come abusivismo professionale» spiega Tonelli.
«I termini alimentazione, nutrizione e dietetica si utilizzano come sinonimi ma in realtà sono cose diverse. L’alimentazione è strettamente correlata agli alimenti e ha a che fare con il nostro comportamento verso gli alimenti, risente di influenze etniche, tradizioni culturale e religiose ma anche differenze sociali e di ricchezza. Non a caso si parla si parla di sana e scorretta alimentazione. La nutrizione ha più a che fare con gli aspetti fisiologici, legati a quello che abbiamo mangiato: la masticazione, la deglutizione, la digestione, il transito intestinale, l’assorbimento e il metabolismo dei nutrienti, cioè processi che condizionano la crescita dell’individuo e il suo sviluppo e la sua integrità. La dietetica è la corretta applicazione dei principi dell’alimentazione e della nutrizione in determinate condizioni fisiologiche e patologiche. Quanto, cosa e come è corretto mangiare in gravidanza, cosa è corretto mangiare per un soggetto diabetico, e così via».
«Esatto. L’assistenza nutrizionale è un concetto ben più ampio che prevede il coordinamento e la gestione di un servizio complesso finalizzato a prevenire e trattare problemi di salute con alimenti sicuri e adeguati che permettono di soddisfare i bisogni nutrizionali e la messa in atto di tutte quelle azioni necessarie a garantire un buono stato nutrizionale. All’interno di questo processo complesso c’è l’assistenza dietetica: ognuno in base alle proprie necessità dovrà ottenere una corretta alimentazione. Pensiamo ai soggetti malnutriti, oncologici, o con malattie come ictus che necessitano di aumentare o ridurre alcuni alimenti o di modificare la consistenza o la possibilità di accedere ad alimenti particolare come quelli senza glutine, o alimenti aproteici».
«Mi verrebbe da dire tutte. Una corretta alimentazione è elemento essenziale per prevenire situazioni come il sovrappeso, le malattie metaboliche, obesità, ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari. Al momento in cui queste patologie sono insorte l’alimentazione diventa terapia: fa in modo che queste patologie non creino danni d’organo o che al momento in cui abbiano creato danni d’organo non aggravino questi danni. L’elenco potrebbe essere molto lungo. Si pensi alle malattie renali, alle malattie neurologiche, a pazienti che hanno avuto ictus o pazienti con malattia di Alzheimer, sclerosi multipla, Sla dove la patologia stessa comporta difficoltà a nutrirsi anche per la difficoltà a masticare, ecc. Nei pazienti oncologici la malattia tumorale può interessare vari distretti e qualora il distretto interessato fosse quello gastroenterico questo comporta tutta una serie di problematiche a maggior ragione se si vieni sottoposti a radio o chemioterapia. Per non parlare di disturbi alimentari che sono sempre più frequenti e che la pandemia ha reso più severi. O i pazienti che non possono nutrirsi in nessun modo e che hanno bisogno della nutrizione artificiale».
«Direi purtroppo di no. Noi stimiamo che nel SSN ci siano non più di 1500 dietisti. Non ne basterebbero il doppio o il triplo. Coloro che vanno in pensione spesso non vengono sostituiti. Ci sono intere strutture ospedaliere o territoriali sguarnite di professionisti che si occupano di nutrizione e dietetica (medici e dietisti), soprattutto nelle regioni del Sud. Dove questi professionisti ci sono, quasi sempre sono troppo pochi o mal distribuiti all’interno dei servizi aziendali. Questo si traduce nell’impossibilita di garantire una assistenza dietetica adeguata. Abbiamo servizi di dietetica o ambulatori di nutrizione clinica che sono carenti o inesistenti, dipartimenti di prevenzione senza dietisti o l’assistente domiciliare carente o inesistente».
«Quello della nutrizione è un ambito estremamente appetibile ad una vastissima platea di professionisti e anche di pseudo professionisti che spesso non hanno alcuna formazione in merito e che millantano conoscenze. Parliamo di personal trainer che dispensano diete purtroppo quasi sempre basate su nessuna evidenza scientifica e spesso accompagnate da integratori non consigliati. Ma anche operatori di centri estetici e altri liberi professionisti. Dispensare consigli o vere e proprie diete sono comportamenti inappropriati e si configurano di fatto come abusivismo professionale. Il web ha contributo a moltiplicare siti, blog, profili di persone che promettono risultati proponendo manuali con protocolli dietetici bizzarri».
«Quello del web è un problema molto serio, spesso sfugge al controllo delle autorità preposte, questi pseudonutrizionisti riescono a raggiungere una platea vastissima di cittadini creando grande confusione. Basta andare su un qualsiasi motore di ricerca per far venir fuori migliaia di risultati dove le informazioni date sono spesso contrastanti tra loro ed errate. Maggiore informazione non si traduce in una maggiore conoscenza, consapevolezza. Spesso si traduce purtroppo in una alimentata confusione e a questo si aggiunge poi una offerta formativa universitaria in ambito nutrizionale molto variegata con master che millantano di fornire competenze o abilitazioni inesistenti in ambito nutrizionale e che sono aperti a una platea molto vasta di professionisti che spesso non hanno nulla a che fare con la nutrizione. Non basta un master o con un corso di formazione per essere esperti. Non ci si improvvisa dietisti».
«Prima della pandemia si denunciava spesso l’inadeguatezza dell’assistenza territoriale, la mancanza di continuità tra ospedale e territorio. Oggi la Mission 6 Salute del PNRR punta a rafforzare il territorio. Il dietista può giocare un ruolo chiave in questo nuovo modello di sanità. Il dietista che lavora in ambito territoriale si occupa della valutazione e della gestione dei soggetti a rischio di malnutrizione, dell’assistenza dietetico nutrizionale compresa la nutrizione artificiale, della promozione della salute. Collabora ad organizzare e gestire la sicurezza dei servizi di ristorazione collettiva come le mense scolastiche e ospedaliere. Pensate quanto potrebbe essere importante portare questa assistenza al paziente che sta al proprio domicilio o nelle strutture territoriali. La maggior parte dei pazienti non sta in ospedale ma al proprio domicilio ed è lì che spesso sono abbandonati a sé stessi con tutte le conseguenze che ne derivano».
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