Ai nostri microfoni, la Segretaria generale della Confederazione Dirigenti della Repubblica spiega cosa non sta andando ai tavoli di trattativa con il Ministero del Lavoro e quali sono le soluzioni per riformare il sistema (e prevedere maggiore flessibilità in uscita)
Staffetta generazionale, cumulo dei contributi in più casse previdenziali, Aspe sociale, “progetto donna”, “contratto di espansione di solidarietà” e, soprattutto, la possibilità di andare anticipatamente in pensione per evitare il rischio di contagio da Covid utilizzando le risorse del Recovery Fund.
Sono tante le proposte avanzate in questi mesi di trattativa sul tema pensioni ma la delusione è altrettanta. Specialmente dopo l’ultimo incontro con il Ministero del Lavoro e con la Funzione Pubblica. «Dopo vari incontri senza che sia emersa una linea orientativa – dichiara la Segretaria generale di Codirp (Confederazione Dirigenti della Repubblica) Tiziana Cignarelli – continua ovviamente la ridda di ipotesi. Da giornali, media e social, che nei primi incontri riferivano di ipotesi di pensionamento a quota 92 o 94, ora, dopo una serie di incontri interlocutori, si riparla del sistema quota 100, ma i numeri peggiorano: si parla di 101, 102 o comunque di soluzioni sempre più asfittiche e penalizzanti. Anche per i contributi numeri a salire, da ultimo 41 anni. Neanche all’incontro di ieri purtroppo c’è stata una discussione concreta. Del resto, ribadisco, per fare ciò il tavolo sulle pensioni deve diventare unico». Sanità Informazione ha parlato proprio con lei per approfondire l’argomento e cercare possibili vie d’uscita.
Segretaria Cignarelli, cosa non va negli incontri che state facendo?
«Siamo impegnati a questo tavolo da febbraio. Un tavolo in cui era stato detto che si sarebbe arrivati ad una riforma sistematica del sistema pensionistico per superare il triennio di vigenza di “Quota 100” e una serie di altri istituti pensionistici da sperimentare, tra cui “opzione donna” e altri metodi di flessibilità in uscita. In realtà, in questo tavolo tecnico si sono susseguite riunioni che non hanno mai portato né ad un testo del Ministero né ad una visione complessiva che ci facesse comprendere, orientativamente, quali fossero gli ambiti di intervento del Governo. Diverse riunioni sono diventate soliloqui sia da parte governativa che da parte sindacale, perché quando non c’è una proposta effettiva, un orientamento della discussione, è naturale che ognuno reiteri le proprie posizioni senza possibilità di incontrarsi. L’ultima volta, però, abbiamo deciso di reagire, anche perché i tavoli, in realtà, sono due e lo schema è sempre lo stesso: il tavolo con Cgil, Cisl e Uil si tiene il giorno prima di quello a cui partecipiamo noi e tutte le altre confederazioni del pubblico impiego. Noi conosciamo ciò che avviene nel tavolo precedente attraverso i comunicati stampa, nei quali il Governo dice cosa ha deciso di fare e i sindacati fanno le loro proposte. Questa separazione dei tavoli non sta portando ad alcun valore aggiunto nella trattativa, perché il cambiamento che è stato proposto è relativo ai 41 anni di contributi. Di fronte a questa notizia e all’apertura da parte del Governo noi abbiamo risposto con una levata di scudi. La situazione pensionistica è talmente variegata che tutto ciò significherebbe tornare alla logica dei tagli lineari. Una logica che nel sistema pensionistico non ha ragion d’essere».
Su cosa verte la vostra discussione?
«Al tavolo si parla di due tipi di intervento: uno riguarda l’immediato, piccoli interventi di “manutenzione”, l’altro riguarda la riforma complessiva di sistema. Noi siamo insoddisfatti sia di quel che c’è stato prospettato tra gli interventi immediati che di quelli di sistema. Per quanto riguarda i primi, gli interventi sono di respiro davvero piccolo: parliamo ad esempio della proroga di “protezione donna”, una piccola estensione della platea dell’Ape sociale e il “contratto di espansione di solidarietà”. In quest’ultimo caso, in particolare, alla richiesta di comprendere quale sia il meccanismo che regolamenterà l’uscita anticipata da parte di un lavoratore avanti con l’età per poterne assumere un altro più giovane, non abbiamo capito né come si sceglie il lavoratore uscente né ci è stato garantito, a nostra esplicita domanda, che ci sarà un rapporto di 1 a 1. Anche nell’immediato avremmo voluto un intervento più concreto. Abbiamo già segnalato una serie di punti di flessibilità in uscita, come la possibilità di cumulare i contributi in più casse professionali. Ci sono tante possibilità che concretamente sono molto efficaci e che sono facilmente accessibili. Ci saremmo aspettati dunque che venissero portate a sistema tutte queste modalità in maniera tale da raggiungere il nostro obiettivo, che è la flessibilità in uscita, sia per favorire il ricambio generazionale sia perché è giusto non prolungare troppo la vita lavorativa delle persone».
Può spiegarci meglio la questione delle casse professionali?
«Per quanto riguarda il cumulo di contributi e unificazione di casse professionali, abbiamo tanti giovani, ma non solo loro, che hanno discontinuità contributiva. Si tratta di un problema serio. Dobbiamo cercare di far raggiungere a queste persone una continuità contributiva con un cumulo di contributi, altrimenti si verifica un grosso fenomeno di cui si parla poco: i contributi silenti, ovvero i contributi che non sono sufficienti a raggiungere la prestazione pensionistica ma che sono nelle casse dell’Inps. Come recuperiamo queste risorse? Come le rimettiamo in circolo? Si tratta comunque di entrate a carico del lavoratore. O si rimettono in campo per lo stesso lavoratore o si mettono in circolo per cercare delle modalità di flessibilità in uscita».
In questa trattativa ha influito o influirà anche l’argomento Covid?
«A questo proposito abbiamo fatto una proposta in cui crediamo molto. In un momento come questo, con la pandemia che non è finita, abbiamo un serio problema relativo ai lavoratori in età più avanzata. Oggi si rischia di mandare le persone ad ammalarsi al lavoro e noi ci saremmo aspettati qualche cenno sulla tutela nei confronti dei lavoratori più esposti al rischio Covid. Noi riteniamo che debbano essere messi in condizione di andare in pensione prima, e quindi sarebbe necessario individuare le modalità per favorire l’uscita di quei lavoratori che, più in là con l’età e quindi più vulnerabili al virus, non possono continuare ad esporsi così tanto al rischio. In questo senso, si potrebbe usare un finanziamento del Recovery Fund, in quanto mandare prima in pensione un lavoratore perché esposto di più al Covid significa mettere in pratica una misura sanitaria, anche se in senso indiretto, e quindi poter accedere a quella linea di finanziamento».
Altre criticità del tavolo?
«Abbiamo rilevato la mancanza di un progetto. E poi, perché non c’è un tavolo unitario, perché continuare con questi due tavoli separati? Noi non vogliamo fare passerella, non vogliamo fare monologhi. Vorremmo dare un contributo. Vorremmo che si trattasse di un tavolo operativo da cui escono proposte che nascono grazie al contributo di tutti».
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