La Regione guidata da Luca Zaia nel dopo Covid fa scuola: con la sentenza 36 del 2022 la Consulta respinge il ricorso di Anaao e Assomed e apre ad una possibile revisione della norma a livello nazionale, mentre sceglie di investire quaranta milioni di euro per recuperare il tempo perduto durante la pandemia
La fase di ripartenza dopo il Covid nel Veneto inizia con la giusta spinta. Infatti, mentre è stata approvato un investimento di 40 milioni di euro su proposta dell’assessore alla Sanità Manuela Lanzarin, per il recupero delle prestazioni in lista d’attesa causata dal blocco imposto dalla quarta ondata di epidemia di Covid, è arrivata la sentenza della Corte costituzionale che rigetta il ricorso di Anaao e Assomed e riconosce la validità delle assunzioni di medici specializzandi fatte durante la pandemia. Un duplice traguardo che oggi sancisce la sanità veneta come modello virtuoso.
40 milioni e 981 mila euro è questo l’importo stanziato complessivamente dalla Regione Veneto su proposta dell’Assessore alla Sanità Manuela Lanzarin per far fronte ad un ritardo di circa 72 mila interventi chirurgici richiedenti il ricovero e 325 mila prestazioni ambulatoriali compresi gli screening che si è accumulato con i due anni di pandemia. Alle strutture pubbliche andranno 31 milioni e 14 mila euro, mentre a quelle private convenzionate 9 milioni e 966 mila euro. «L’obiettivo è azzerare il gap che si è generato con la pandemia – ammette l’assessore alla Sanità Manuela Lanzarin -. È una sfida impegnativa, a contiamo di arrivare all’obiettivo entro fine anno». Ogni azienda del Servizio Sanitario Regionale dovrà procedere alla redazione dei piani operativi da inviare ad Area Sanità e Sociale ed Azienda Zero, entro l’11 marzo 2022. Quest’ultima dovrà anche monitorare i livelli di produttività raggiunti da ciascuno per definire i budget dei singoli enti.
Un impegno che sarà più accessibile grazie anche alle assunzioni di medici specializzandi effettuate durante la pandemia e che la Corte costituzionale ha validato con la sentenza 36 del 2022. Una sentenza che dà ragione al governatore Luca Zaia e alla regione Veneto che per prima, e unica in Italia, ha deciso durante i giorni più bui del Covid di inserire in ospedale giovani medici laureati abilitati, iscritti al penultimo e ultimo anno di specializzazione per far fronte all’emergenza.
«Si tratta di una sentenza storica – ammette il governatore – in un momento in cui alla carenza di professionisti si è aggiunta l’emergenza Covid, non possiamo che essere soddisfatti della decisione presa dalla Consulta. A seguito di questa sentenza, sarà necessario rivedere la questione a livello nazionale». La decisione di assumere camici bianchi ancora in formazione durante la pandemia aveva generato un ricorso da parte dell’Associazione Medici dirigenti Anaao Assomed secondo i quali non c’erano le condizioni per attingere da un serbatoio non del tutto formato.
«La decisione presa in quel frangente – ricorda Zaia – nonostante lo stato di emergenza e la difficoltà oggettiva di reperire medici formati scatenò critiche pesantissime da parte delle associazioni di categoria. Ma le polemiche non ci fermarono. Sicuri di dover procedere in quella direzione non ci siamo arresi alle accuse mosse nei nostri confronti anche sul piano giuridico. E alla distanza abbiamo avuto ragione. La sentenza della Consulta è storica perché apre nuovi orizzonti per le altre regioni italiane, non solo in riferimento alla pandemia da Covid, ma anche per eventuali situazioni di emergenza che si potranno verificare in futuro. Tra l’altro il tema della carenza di medici è antecedente la pandemia, da tempo si lamentava un numero non sufficiente di camici bianchi e la pandemia non ha fatto che aggravare la situazione. È evidente che una sentenza come questa possa segnare un nuovo passo per la professione».
Alla luce di questa sentenza il governatore Luca Zaia auspica una revisione delle norme nazionali in modo da rendere più agevole l’ingresso nel mondo del lavoro di queste figure professionali. «La scuola di specializzazione è fondamentale – sottolinea – ma occorre rivedere le modalità di accesso e garantire ai medici laureati dopo sei anni di studi ed abilitati di poter fruire di corsi di formazione e di assistenza da parte di colleghi strutturati, come già accade all’estero».
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