Alessandro Padovani, direttore di Clinica Neurologica presso l’università degli Studi di Brescia, in un’intervista a Sanità Informazione, chiarisce le differenze tra il Covid di lunga durata e quei sintomi che compaiono a distanza, anche di sei mesi, dalla guarigione: «Il Post Covid si è manifestato pure in pazienti che hanno contratto il virus in forma lieve»
Il Covid-19 può colpire sia il sistema nervoso centrale, con cefalea, vertigini, disturbi dello stato di coscienza (confusione, delirium, fino al coma), encefaliti, manifestazioni epilettiche, disturbi motori e sensitivi, sia il sistema nervoso periferico, con perdita o distorsione del senso dell’olfatto, del gusto, neuralgie e sindrome di Guillan-Barrè. Sono talmente tante le complicanze neurologiche dell’infezione da Covid-19 che, oggi, per definirle si utilizza il termine “NeuroCovid”.
Ma i disturbi neurologici da pandemia sono transitori o permanenti? Per rispondere a questa domanda è, innanzitutto, necessario distinguere tra una reale persistenza dei sintomi, definita “Long Covid”, e sintomi o disturbi insorti in epoca successiva all’infezione Covid, il cosiddetto “Post Covid”.
«Partiamo dalla prima definizione, quella di Long Covid – dice Alessandro Padovani, direttore di Clinica Neurologica presso l’università degli Studi di Brescia, tra i relatori della Settimana Mondiale del Cervello, organizzata dalla Società Italiana di Neurologia (SIN) e conclusasi ieri -. I pazienti che hanno contratto una forma acuta dell’infezione da Covid-19 sono stati ricoverati sia in terapia intensiva, che nei reparti di pneumologia, infettivologia e medicina interna. Tra questi, alcuni hanno avuto delle sequele di tipo respiratorio, altri, soprattutto i più anziani, hanno manifestato anche dei problemi fisici, come una lenta e difficile ripresa della deambulazione e una persistente astenia, durata pure fino a sei mesi. Ecco – sottolinea il professore – la maggior parte di questi pazienti è definibile Long Covid».
Alcuni pazienti guariti, risultati negativi ai tamponi di controllo, hanno cominciato a manifestare nuovi malesseri a distanza di settimane o anche alcuni mesi. «I sintomi osservati – commenta Padovani – sono prevalentemente di natura cardiologica, neurologica e internistica. In questo caso si tratta di Post Covid, ovvero di reazioni comparse a distanza dall’infezione da Covid 19, in alcuni casi direttamente correlate alla risposta infiammatoria, in altri ad una reazione immuno-mediata, come alcune forme di encefalopatie demielinizzanti, distinte dalla sclerosi multipla, e delle polineuropatie, come la sindrome di Guillan-Barrè. Queste reazioni immuno-mediate sono state osservate anche in una certa quota di pazienti che hanno avuto un Covid lieve, ovvero che non hanno necessitato di ospedalizzazione, né hanno manifestato insufficienza respiratoria».
«Finora sono stati pubblicati pochi studi validi sull’argomento. Uno molto ampio ha analizzato la popolazione cinese, altre due ricerche, meno estese ma ugualmente attendibili, sono state condotte in Inghilterra e negli Stati Uniti», dice lo specialista. In Italia, è in corso di pubblicazione lo studio Covid-Next, tuttora attivo a Brescia. «Da questa ricerca italiana, la percentuale di malati precedentemente ospedalizzati, ricoverati in reparti Covid di pneumologia, con riferiti disturbi a distanza è stata superiore al 70% dei casi». Tra i principali sintomi descritti: l’astenia, i disturbi cognitivi e di concentrazione, i disturbi del sonno, le mialgie con valori superiori al 30%, seguite da disturbi depressivi, perdita dell’autonomia e da instabilità, disturbi della vista e formicolii. «È stata rilevata – continua Padovani – anche una stretta correlazione tra il numero dei sintomi neurologici, la gravità dell’infezione Covid, l’età del paziente e il suo stato di salute al ricovero ed alle dimissioni».
Tra il 30% dei soggetti ospedalizzati, ma che non hanno avuto una forma estremamente grave di Covid-19, i disturbi prevalenti a distanza di sei mesi sono stati di natura depressiva e ansiosa o disturbi del sonno e di concentrazione. «Aldilà della gravità della patologia, chiunque si trovi all’interno di un reparto Covid vive una condizione di isolamento. Il paziente – racconta il neurologo – è lontano dalla sua famiglia, tenuto a distanza dagli altri pazienti – alcuni dei quali perdono la vita durante il ricovero – e dal personale sanitario, sempre sovraccarico di lavoro. È una situazione così difficile da affrontare sul piano psicologico, che può condizionare anche il recupero fisico», aggiunge il neurologo.
Una condizione di solitudine è stata spesso vissuta anche al di fuori degli ospedali tra i pazienti che non hanno contratto il Covid, tanto che nei mesi di prolungato isolamento, in cui sono stati alterati i ritmi di vita e le abitudini sociali, sono stati evidenziati un peggioramento dei sintomi comportamentali e un aumento del decadimento cognitivo tra le persone affette da demenza (in Italia ne soffrono oltre 1 milione e 200 mila persone, di cui 720 mila sono colpiti da Alzheimer). Più diffusi anche i disturbi del sonno: se in epoca pre-Covid riguardavano 12 milioni di italiani, oggi ne sono soffrono circa 24 milioni di cittadini.
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