Sanità 17 Settembre 2021 12:32

«Adesso fatemi tornare ad essere medico». Parla una delle dottoresse fuggite dall’Afghanistan e arrivate in Italia

Sara lavorava al Centro di diagnosi del tumore al seno di Herat della Fondazione Veronesi. A Milano ha iniziato una nuova fase della sua vita

di Federica Bosco
«Adesso fatemi tornare ad essere medico». Parla una delle dottoresse fuggite dall’Afghanistan e arrivate in Italia

Sara, medico ginecologo, ha 34 anni, gli occhi scuri, il viso appena coperto e le unghie laccate, simbolo di un desiderio di libertà e di normalità che in Afghanistan le è stato negato. Lei è una delle otto dottoresse afghane che è riuscita ad arrivare in Italia grazie alla Fondazione Veronesi, per la quale lavorava. Era impiegata al Centro di diagnosi del tumore al seno di Herat, chiuso dallo scorso 14 agosto.

La incontriamo nella sede milanese della Fondazione. Ha gli occhi lucidi e la voce flebile mentre racconta quel lungo viaggio verso la libertà che è iniziato ad agosto, prima ancora dell’occupazione di Herat da parte dei talebani.

«Sentivamo gli spari e le notizie sulla guerra che si stava avvicinando. Era il segnale che dovevamo lasciare la nostra casa di famiglia e trasferirci velocemente dall’altra parte della città. Stavo ancora lavorando e ricevevo le pazienti quando i talebani hanno preso Herat, e con mia madre e mia sorella minore, anche lei medico, ci siamo dirette a Kabul».

La fuga da Kabul

«La prima sera all’aeroporto abbiamo visto tutto il dramma di un paese e della sua gente che voleva fuggire – ricorda la donna -. Non siamo riuscite ad attraversare subito il gate perciò, per non finire in mezzo a risse e sparatorie, siamo rientrate all’hotel dell’aeroporto. Poi alle tre di mattina è arrivata la notizia tanto attesa. Un volo verso l’Italia ci stava aspettando, ma per non destare sospetti abbiamo dovuto lasciare tutto in Afghanistan. Quel giorno abbiamo visto i talebani controllare ogni persona e, per non rischiare, siamo partite solo con una piccola valigia e i documenti importanti».

Il pericolo per le otto dottoresse afghane e i loro familiari (34 in tutto, con dieci bambini) è alle spalle, ma negli occhi di Sara si legge ancora il terrore che smorza accennando un sorriso. È consapevole che la strada per la libertà è ancora lunga: «Ho paura per i miei fratelli e mia sorella rimasti a Herat. Per il momento siamo in contatto attraverso i social, ma chissà fino a quando avranno la linea internet? –  domanda volgendo lo sguardo al mediatore culturale che traduce le sue parole -. Anche le mie pazienti ora non potranno più ricevere le cure di cui hanno bisogno e questo mi rattrista».

La tristezza lascia spazio alla speranza immaginando il futuro. «L’Italia è un paese ospitale, mi dà senso di sicurezza, siamo lontani dalla guerra e spero presto di tornare ad esercitare la mia professione».

Tornare ad essere medico

Tornare ad essere medico è il più grande desiderio che hanno Sara e le sue giovani colleghe, ma per questo devono fare i conti con la burocrazia e con la lingua italiana che non conoscono. «Dopo aver trascorso dieci giorni in un Covid Hotel, le dottoresse saranno sottoposte ad una serie di esami per comprendere se il vaccino fatto in Afghanistan e non riconosciuto in Italia sia sufficiente a garantire una adeguata copertura, oppure se dovranno rifare la vaccinazione – spiega Annamaria Parola, responsabile delle relazioni istituzionali per i progetti medici internazionali di Fondazione Veronesi –. Dopodiché dovranno studiare l’italiano per acquisire un minimo di autonomia».

Intanto la Fondazione Veronesi si sta occupando del riconoscimento in Italia dei titoli di studio conseguiti nel loro Paese per permettere loro di ricominciare ad esercitare la professione: «Questo aspetto è fondamentale, anche perché ricordiamo che da un punto di vista emotivo stanno vivendo un vero e proprio lutto nel lasciare dietro di sé quello che avevano costruito in una vita, a cominciare dagli affetti e dal lavoro».

Psicologi ed educatori per superare il trauma

L’accoglienza di queste donne è affidata alla Fondazione Progetto Arca: «Noi oltre a casa, pasti e vestiti, aiutiamo queste persone ad acquisire il titolo di rifugiato. Inoltre, lavoriamo sull’aspetto emotivo perché chi arriva nel nostro paese con una esperienza così pesante ha bisogno di sicurezza» spiega Costantina Regazzo, direttrice dei servizi della Fondazione.

«La nostra equipe di psicologi, educatori, mediatori e assistenti sociali, quindi, garantisce un ambiente accogliente e una quotidianità che diventa essenziale al fine di elaborare l’esperienza traumatica vissuta. Parlo di normalità perché di fronte a situazioni di questo tipo è difficile dormire, allontanare sogni terribili e non rivivere in continuazione quanto sperimentato. Le paure e la preoccupazione di cosa potrà accadere ai parenti rimasti in Afghanistan è il primo tema. La seconda paura è non riuscire a costruire una nuova vita professionale e sociale nel nostro paese considerando che loro, per molto tempo, hanno garantito la salute di altre donne».

«Un nuovo capitolo della vita delle otto dottoresse afghane è appena iniziato – riprende Annamaria Parola – però sanno che non sono abbandonate, che sono seguite dalla Fondazione che continuerà ad impegnarsi affinché questa nuova fase possa iniziare nel migliore dei modi e sia anche anche utile per approfondire e perfezionare le loro competenze medico scientifiche».

 

Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato

Articoli correlati
Depresse, malnutrite e senza istruzione: la vita al limite delle bambine afghane
Nel suo ultimo Rapporto, l’associazione umanitaria Save the Children denuncia le conseguenze in Afghanistan della dittatura talebana. Le peggiori toccano alle bambine afghane: non possono frequentare la scuola, mangiano sempre meno e, in alcuni casi sono costrette a matrimoni precoci
«In Afghanistan il rischio di morte in parto è 300 volte superiore all’Italia. Governo non paga i medici», il quadro di Brunelli (Intersos)
I progetti già realizzati da Intersos, il vicedirettore regionale per l’Afghanistan: «Operativi due Trauma Point, due centri di salute e tre cliniche mobili. Trattiamo la malnutrizione grave tra i bambini. Sosteniamo psicologicamente, legalmente ed economicamente le categorie fragili»
Afghanistan, ActionAid: «È allarme malnutrizione. Urgono cibo, acqua e riparo»
ActionAid sul campo con interventi salvavita e aiuti immediati per 35mila persone in Afghanistan. De Ponte: «Presto attivo un progetto di sostegno psicologico per le famiglie fuggite dai loro villaggi»
di Isabella Faggiano
Afghanistan, FNOPO: «Le donne e i bambini non siano le prime vittime delle violenze dei talebani»
«In queste ore lasciano totalmente sgomenti le immagini che provengono dall’Afghanistan dove la popolazione civile tenta, con qualsiasi mezzo, una disperata fuga dal proprio Paese ormai in mano ai talebani. Il Comitato centrale FNOPO, in rappresentanza delle ostetriche/i italiane, esprime la propria solidarietà a tutta la popolazione, in particolare alle donne e ai bambini che rischiano […]
Kabul, scontri e sparatorie nella notte. Emergency: «In ospedale terapie intensive piene»
A Kabul le sparatorie sono andate avanti nella notte, l'Afghanistan si sveglia in un mondo diverso. Zanin, medico Emergency, descrive l'ospedale pieno e aperto solo a feriti gravi. I talebani, dice, hanno chiesto un incontro
GLI ARTICOLI PIU’ LETTI
Advocacy e Associazioni

Percorso Regolatorio farmaci Aifa: i pazienti devono partecipare ai processi decisionali. Presentato il progetto InPags

Attraverso il progetto InPags, coordinato da Rarelab, discussi 5 dei possibili punti da sviluppare per definire criteri e modalità. Obiettivo colmare il gap tra Italia e altri Paesi europei in ...
Advocacy e Associazioni

Disability Card: “Una nuova frontiera europea per i diritti delle persone con disabilità”. A che punto siamo

La Disability Card e l'European Parking Card sono strumenti che mirano a facilitare l'accesso ai servizi e a uniformare i diritti in tutta Europa. L'intervista all'avvocato Giovanni Paolo Sperti, seg...
Sanità

I migliori ospedali d’Italia? Sul podio Careggi, l’Aou Marche e l’Humanitas di Rozzano

A fotografare le performance di 1.363 ospedali pubblici e privati nel 2023 è il Programma nazionale sititi di Agenas. Il nuovo report mostra un aumento dei  ricoveri programmati e diu...