Sanità 30 Marzo 2022 12:42

Colera, dissenteria, polio. La popolazione pediatrica in Ucraina rischia tanto, spiega l’infettivologo

Non solo Covid-19: dalle infezioni ospedaliere ai protocolli saltati per i pazienti cronici, passando per colera e polio, i danni collaterali della guerra fanno sempre più paura. Con Nicola Petrosillo (Policlinico Universitario Campus Bio-Medico)

Colera, dissenteria, polio. La popolazione pediatrica in Ucraina rischia tanto, spiega l’infettivologo

Devastazione, macerie, morte. La guerra è questo a un’occhiata superficiale. Ma dietro le interruzioni dei servizi essenziali, dietro i bombardamenti dei presidi sanitari, dietro il blocco degli approvvigionamenti c’è più della distruzione materiale e morale di uno Stato. C’è la precisa volontà di radere al suolo quella ramificata e complessa rete composta di mezzi, infrastrutture e persone a difesa del bene più prezioso: la salute pubblica. La Storia insegna che i conflitti costituiscono un terreno particolarmente fertile per il diffondersi di epidemie, con effetti particolarmente gravi a causa della maggiore vulnerabilità della popolazione colpita. Piove sul bagnato, ma le conseguenze sul lungo termine potrebbero coinvolgere scenari su più larga scala quando si parla di malattie infettive, come abbiamo imparato dopo due anni di pandemia. Sanità Informazione ha intervistato su questi temi, focalizzandosi sull’attuale situazione in Ucraina, il dottor Nicola Petrosillo, infettivologo presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma.

Tra le prime cose a scarseggiare durante un conflitto c’è il bene essenziale per eccellenza: l’acqua potabile. Dal punto di vista epidemiologico questo cosa comporta?

«Premettendo che, per ovvie ragioni, non abbiamo dati epidemiologici provenienti dal terreno di scontro, è chiaro che in uno scenario del genere possiamo ben ipotizzare che ci siano interruzioni ai sistemi idrici a causa dei bombardamenti, che possono quindi causare commistioni di acque fognarie con acque potabili. In questo contesto le epidemie a trasmissione oro-fecale sono un rischio concreto, perché se c’è scarsità d’acqua le persone bevono quel che c’è. Non dobbiamo pensare solo al colera, ma anche alla salmonella, alle dissenterie provocate da Escherichia Coli ed altri batteri enteropatogeni, al Clostridium perfringens, oltre agli agenti virali, come la poliomielite, anche questo trasmissibile attraverso l’ingestione di acqua o cibi contaminati. A preoccupare sono soprattutto i focolai che potrebbero interessare la popolazione in età pediatrica: i bambini necessitano di molta acqua, e le e patologie dissenteriche, che comportano disidratazione, sono estremamente pericolose per questa fascia d’età».

Malattie come la poliomielite e la difterite sono state, in Italia, soppresse da decenni di campagne vaccinali rigorose. Non è così in tutta Europa?

«Purtroppo l’Ucraina, così come altri Paesi dell’ex URSS, ha conosciuto, dopo la caduta del regime sovietico, il venir meno di una serie di misure di sanità pubblica garantite dal regime stesso, tra cui massicce campagne vaccinali. Oggi l’obbligo vaccinale in questi Paesi non è sicuramente cogente come lo intendiamo noi in Italia, ma diventa una questione di mera responsabilità individuale. Il risultato è una copertura vaccinale molto bassa, anche a causa di un sostrato sociale e culturale completamente diverso dal nostro. Questo dato, insieme all’interruzione di servizi essenziali come le forniture idriche di cui parlavamo prima, favorisce sicuramente lo sviluppo di focolai epidemici. Tra l’altro, anche relativamente al Covid-19, sappiamo per certo che la copertura vaccinale è a livelli molto bassi, intorno al 35% della popolazione».

E questo genera un’ulteriore preoccupazione, soprattutto ora che si è messa in moto la macchina dell’accoglienza. C’è il rischio di “accogliere” anche nuove varianti del Covid-19?

«Quando i virus circolano, a causa di una scarsa copertura vaccinale nella popolazione, c’è sempre il rischio di emersione di nuove varianti. Che però, ad oggi, fortunatamente, non sembrano provenire dai Paesi dell’est Europa. Dobbiamo considerare anche un altro fattore: come è successo in Sudafrica, il virus è mutato negli organismi di soggetti immunodepressi, come quelli HIV positivi. Questo accade proprio perché il virus, tendendo a permanere più a lungo in un organismo immunocompromesso, ha maggiori chance di adattarsi e mutare».

A proposito di HIV: come faranno i pazienti sieropositivi a gestire la propria patologia in un contesto di guerra?

«Con la guerra purtroppo saltano anche tutti i protocolli dei soggetti sieropositivi che utilizzano farmaci antiretrovirali, fondamentali per non sviluppare l’AIDS. In questa fase per queste persone sarà molto difficile continuare le loro terapie e mantenere sotto controllo l’infezione, tant’è che nei Paesi deputati all’accoglienza (tra cui l’Italia) ci si sta attrezzando per far fronte anche a queste esigenze, così come per garantire il controllo (anche attraverso screening) di altre forme infettive, tra cui la tubercolosi e le epatiti croniche, oltre, naturalmente, a somministrare vaccini contro il Covid-19 ed altre patologie».

In Ucraina sono sotto attacco anche le infrastrutture civili, come gli ospedali…

«Sì, molti ospedali sono stati duramente colpiti e queste rende difficile, se non impossibile, rispettare anche i più basilari standard igienici al loro interno. Gli interventi chirurgici o l’inserimento di protesi, come quelle valvolari ad esempio, richiedono ambienti e attrezzature completamente sterili. In una situazione di conflitto, queste manovre comportano rischi di infezioni gravissime, anche letali. Lo stesso vale per la maggior parte delle persone che attualmente in Ucraina accedono ai Pronto Soccorso, presumibilmente traumatizzati o grandi ustionati, a causa dei bombardamenti. Sono entrambe condizioni estremamente delicate e a rischio infezioni, anche da germi resistenti».

 

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