Barbato (psicologo digitale): «Immergendosi completamente nel metaverso, con ognuno dei 5 sensi, indossando sofisticate tecnologie sensoriali, ogni vissuto andrà ad aggiungersi alla nostra memoria autobiografica, arricchendola e modificandola, esattamente come accade nella vita (reale) di tutti i giorni»
Abitano su Pandora e sono degli ibridi, creati dall’unione di geni umani e umanoidi. Sono gli avatar ed ognuno di loro può essere controllato solo dall’essere umano il cui DNA è stato impiegato per generarli. Era il 2009 quando James Cameron portava sul grande schermo il film “Avatar”, immaginando una realtà futura e futuristica ambienta nel 2154. Ma non è da escludere che, se Cameron avesse prodotto questo film nel 2022, lo avrebbe collocato in un futuro molto più recente. Oggi, infatti, l’esistenza del metaverso, ovvero di un insieme di spazi virtuali tridimensionali creati al computer e interconnessi tra di loro, non è più soltanto una fantasia. È una realtà, che seppur virtuale, assomiglia sempre di più alla vita vissuta, essendo in grado di coinvolgere l’essere umano con tutti i suoi cinque sensi.
«Indossando guanti sensoriali e tute aptiche, indumenti altamente tecnologici in grado di trasferire al corpo di chi l’indossa le sensazioni naturali come se stesse vivesse realmente nell’ambiente riprodotto dal software simulativo, anche la corporeità viene “trasferita” all’interno di questi spazi virtuali. Ognuno con il proprio avatar può condividere luoghi ed esperienze (virtuali) con persone fisicamente distanti – spiega Simone Barbato psicologo clinico e digitale, collaboratore di ricerca presso l’Università di Cassino e co-fouder di Idego.
In parole, nel metaverso si potrà vivere una vita parallela in cui ognuno, creando l’avatar che rispecchia il proprio ideale, potrà essere ciò che vuole, fare ciò che desidera, spostandosi da un mondo (virtuale) all’altro in un solo click. «Potranno farlo tutti – assicura Barbato -. Non ci sono limiti, se non quelli dettati dalla conoscenza delle nuove tecnologie. Ma anche i meno avvezzi, con la giusta dose di curiosità potranno imparare in fretta».
Ma si tratterà di una vita parallela, oppure mondo reale e mondo virtuale finiranno per fondarsi, rendendone impercettibili i confini? Chi, come il dottor Barbato, ha fatto del metaverso uno dei suoi principali oggetti di studio, non ha dubbi: «Sì – dice lo psicologo digitale – il metaverso influenzerà nelle nostre vite e la nostra mente. E viceversa. Anche le esperienze vissute nel mondo reale influiranno su quelle che si sperimenteranno nel metaverso».
Ma vediamo come e perché. «Immergendosi completamente nel metaverso, con ognuno dei cinque sensi, indossando sofisticate tecnologie sensoriali, ogni vissuto andrà ad aggiungersi alla nostra memoria autobiografica, arricchendola e modificandola, esattamente come accade nella vita (reale) di tutti i giorni. Allo stesso modo, anche le azioni che compiremo nel metaverso potranno essere spinte o stimolate da ciò che abbiamo fatto, e quindi appreso, nel mondo reale».
E finché azioni e comportamenti di ogni avatar rientreranno in un range di normalità (non manifesteranno, cioè, alcunché di patologico), tutto andrà bene. Ma cosa accade ad una persona che ha comportamenti disfunzionali, come disagi, disturbi psicologici o vere e proprie patologie, entrando nel metaverso, in un universo che per quanto realistico non è propriamente reale e, soprattutto, più sfuggente alle regole ed ai controlli a cui ci si attiene (per legge o consuetudine), al fine di garantire una convivenza civile?
«Il metaverso può potenzialmente trasformarsi in un amplificatore di alcuni disturbi e psicopatologie – ammette Barbato -. Il mondo virtuale potrebbe consolidare alcune condotte di evitamento, tipiche di chi soffre di disturbi ansiosi e, in particolar modo, di ansia sociale. Chi ha paura di esporsi al giudizio altrui evita, appunto, tutti i contesti di socialità. Da questo evitamento, che genera un abbassamento del livello di ansia e quindi una sensazione di benessere, scaturirà un ulteriore evitamento, gettando l’individuo in un circolo vizioso. Circolo dal quale nel mondo virtuale (dove ognuno costruisce il proprio avatar a immagine e somiglianza del proprio ideale) sarà ancora più difficile liberarsi che nel mondo reale».
Ma le insidie nascoste dietro l’avatar (incarnazione della perfezione) non finiscono qui. «Se una parte importante della vita relazionale degli individui, adolescenti o adulti che siano, si consumerà all’interno di spazi virtuali, dove ci si potrà rappresentare e presentare all’altro con un corpo ideale, sarà sempre più difficile accettare la propria corporeità riflessa allo specchio (reale) – avverte lo psicologo clinico -. Il metaverso potrebbe così amplificare anche tutte quelle problematiche che derivano da una non accettazione del sé, disturbi alimentari in primis».
Per fortuna, però, non ci sono solo cattive notizie: accanto ai rischi ci sono anche benefici. «Così come, già da alcuni anni, si utilizzano i visori di realtà immersiva per curare le fobie, anche il metaverso potrà essere una sorta di palestra in cui ci allena a tenere comportamenti che seppur giusti, si fatica a mantenere nel mondo reale – dice Barbato -. Se tutte le esperienze che maturiamo nella virtualità (utilizzando le tecnologie che permettono il coinvolgimento di tutti i nostri sensi) alimentano la nostra memoria autobiografica, anche eventuali strategie di fronteggiamento apprese nel mondo virtuale, potranno essere sfruttate nel mondo reale».
Facciamo un esempio concreto. Se ho paura di volare, potrò affrontare uno o più viaggi in un aereo virtuale, con tanto di tuta aptica addosso, imparando man mano a gestire le mie ansie e i miei timori. Quando il viaggio (virtuale) trascorrerà senza intoppi, allora potrò essere pronto a salire a bordo di un aereo reale. E chissà che il metaverso non diventi, così, un grande palcoscenico teatrale dove ognuno di noi avrà la possibilità di cimentarsi in una spettacolare prova generale della propria vita.
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