A raccogliere la testimonianza di Josephine è stata CESVI, al centro nutrizionale di Ngaremara gestito dalla stessa Fondazione, dove si trova il suo ultimo figlio, gravemente malnutrito. Se entro settembre la siccità non dovesse dare tregua a rischio 20 milioni di persone
«Mi chiamo Josephine Muli, ho 45 anni, sono vedova e madre di 5 figli. Mio marito è morto lo scorso anno ed è dallo stesso periodo che stiamo vivendo una grave siccità, che si è portata via tutto quello che avevamo. Il Covid, poi, ha peggiorato ulteriormente la situazione. Qui si soffre la fame: a volte andiamo a letto senza aver mangiato». A raccogliere la testimonianza di Josephine è stata CESVI, al centro nutrizionale di Ngaremara gestito dalla stessa Fondazione. È qui che si trova il suo ultimo figlio, gravemente malnutrito.
In Kenya sono oltre 940 mila i bambini che soffrono di malnutrizione, tra cui 229 mila in maniera grave e 713 mila in forma moderata. Il fenomeno è così diffuso che, spesso, le mamme considerano normale lo stato di denutrizione e la crescita rallentata e anomala dei propri figli: Josephine, invece, ha capito che qualcosa non andava ed ha chiesto aiuto. I bambini, in non poche occasioni, cominciano a soffrire per la mancanza di cibo e di acqua ancor prima di venire al mondo o nei primissimi mesi di vita: si stima che le donne in gravidanza o in allattamento gravemente malnutrite siano 134 mila.
L’insicurezza alimentare ha raggiunto livelli drammatici in tutto il Corno d’Africa, dall’Etiopia, al Kenya, fino alla Somalia. La siccità ha decimato i raccolti e provocato una forte moria di capi di bestiame, principale fonte di sostentamento delle famiglie, inasprendo anche conflitti tra villaggi. La situazione in Kenya non è meno allarmante, qui si stima che siano 4,1 milioni le persone in condizione di grave insicurezza alimentare: il 27% della popolazione soffre fame e sete. In una situazione già molto critica, caratterizzata da conflitti armati tra clan, conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia ed effetti del cambiamento climatico, si inserisce anche l’impatto della guerra in Ucraina.
L’interruzione delle importazioni causata dal conflitto sta creando carenze di cibo per i prezzi elevati delle materie prime essenziali, tra cui grano, mais, utile per l’alimentazione animale, oli alimentari e carburante. Il conflitto sta producendo un aumento dei prezzi in tutto il Corno d’Africa: il costo del paniere alimentare è già aumentato del 66% in Etiopia e del 36% in Somalia, lasciando le famiglie impossibilitate a soddisfare i bisogni primari e costringendole a vendere le loro proprietà ed averi duramente guadagnati in cambio di cibo e altri beni salvavita.
«Siamo di fronte ad una crisi umanitaria enorme: un vero e proprio disastro. Qui si muore di fame e di sete – spiega Isabella Garino, Head of Mission CESVI in Corno d’Africa -. Stiamo distribuendo acqua e beni di prima necessità, offrendo cure mediche e programmi di nutrizione, lavorando con le comunità di allevatori e pastori più duramente colpite da questa emergenza climatica e accogliendo gli sfollati interni». Se la siccità non dovesse dare tregua, entro settembre 20 milioni di persone potrebbero patire l’insicurezza alimentare. Quella in corso, dopo quattro stagioni consecutive di piogge mancate, è una delle peggiori siccità degli ultimi decenni.
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