Lodola (responsabile International Fundraising e Partnerships ActionAid Italia): «Solo il 60% ha accesso all’acqua potabile e il 30% ai servizi igienici. Nelle baraccopoli di Nairobi difficile anche il distanziamento sociale»
L’Africa affronta l’emergenza coronavirus quasi in silenzio. In un mondo dove la fame e la sete rappresentano ancora una piaga sociale, il virus si diffonde subdolo, e sembra fare meno paura. Eppure, ascoltando le parole di Daniele Lodola, responsabile International Fundraising e Partnerships di ActionAid Italia, da 40 anni in Kenya, se i numeri sono bassi (70 decessi e circa 800 contagi), è perché si fanno pochissimi tamponi e nei villaggi il monitoraggio è molto difficile.
«Per darvi qualche dato solo il 60% della popolazione ha accesso all’acqua potabile e il 30% ai servizi igienici sanitari. Di conseguenza – spiega Lodola – tutte quelle misure che abbiamo imparato a conoscere, il contatto tra le persone, il distanziamento sociale, avere cura della propria igiene, lavarsi spesso, potrebbero essere messe in atto in alcuni posti, da chi vive in zone urbane. Anche lì però sono tristemente note le baraccopoli di Nairobi, come Kibera, dove ci sono delle difficoltà oggettive, il distanziamento sociale è impraticabile e questo ha un effetto sull’economia e su tutti quei lavori che per l’80% si basano sulla quotidianità e l’estemporaneità. Quindi anche il lockdown che hanno messo in atto in Kenya con la chiusura delle scuole e un coprifuoco che va dalle sette della sera alle cinque del mattino successivo, ha avuto un impatto molto forte sull’economia».
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«Quello che vogliamo anche noi di ActionAid – prosegue – è che questi numeri possano abbassarsi o quantomeno non aumentare. L’intervento specifico di questi giorni si concentra sulla distribuzione di kit igienico-sanitari e dispositivi di protezione e su un’opera di informazione e diffusione delle maniere di contrasto al virus stesso, spiegando il distanziamento sociale e l’importanza di lavarsi spesso le mani, per coloro che ne hanno le possibilità. Contestualmente per rispondere anche all’altra esigenza di natura economica, stiamo cercando di dare un sostegno alle famiglie affinché, tramite una distribuzione di contanti, possano avere un piccolo mattone con il quale ripartire nella fase 2, anche se proprio in questi giorni il Kenya ha annunciato che le scuole non riapriranno se non tra un mese».
Acqua pulita e kit igienici rappresentano dunque il primo tassello per prevenire il diffondersi del coronavirus tra le comunità più fragili di un Paese che complessivamente conta 120 posti in terapia intensiva, dove mancano ossigeno e mascherine e il personale medico è insufficiente per curare la popolazione. Senza dimenticare che il lockdown mette a rischio la già precaria situazione economica.
«Noi con ActionAid abbiamo lanciato una campagna, iniziata il primo maggio e che si concluderà il 15 giugno, per raccogliere le risorse che gli italiani vorranno donare al Kenya: tramite il numero 45511 è possibile donare un euro o due euro via sms, oppure con rete fissa dai cinque ai dieci euro», conclude Lodola.