Luci e ombre della campagna vaccinale a Tel Aviv: «Ma le scorte si stanno esaurendo»
Vaccino contro il coronavirus: gli Stati Uniti hanno inoculato 4,5 milioni di dosi, così come la Cina. Sono dunque in vetta al programma vaccinale globale? Tutt’altro: con 1,22 milioni di dosi somministrate in meno di un mese è lo stato di Israele a mostrare il passo a tutto il mondo. Come è noto conta la proporzione con il totale della popolazione, e Israele ha vaccinato 14mila persone per ogni milione di cittadini, ad un ritmo di 150mila vaccini al giorno. Un numero straordinario che sta riscuotendo il successo e l’apprezzamento della comunità globale. Ma come è stato possibile un tale risultato?
Un recente pezzo di Forbes fa il punto sulla strategia vaccinale di Tel Aviv. Parliamo di un Paese che conta su un tasso di identificazione e di disciplina molto alto fra i suoi cittadini e che dispone di un sistema di salute pubblica coordinatissimo e centralizzato. «Mentre gli Stati Uniti hanno lasciato il compito della distribuzione vaccinale ai singoli stati – spiega Forbes – Israele ha beneficiato di uno sforzo centralizzato da parte del governo che ha potuto giovare del suo sistema sanitario socializzato per sviluppare una campagna nazionale di vaccinazione. In Israele, d’altronde, tutti i cittadini maggiorenni devono registrarsi per legge in uno dei quattro sistemi assicurativi a disposizione del paese. Questo sistema, spiegano gli esperti, si è potuto ben coordinare con il governo israeliano e con le autorità locali, potendo anche contare sui medici dell’esercito».
A Le Monde ha parlato Nadav Davidovitch, direttore della scuola di sanità pubblica dell’Università Ben Gurion: «È un mix di diversi fattori. Abbiamo l’infrastruttura necessaria per vaccinare rapidamente, abbiamo fatto simulazioni in passato in caso di attacco biologico. La maggioranza degli israeliani ha fiducia nel vaccino e abbiamo messo in campo una vasta campagna sui social network e i media tradizionali per informare il pubblico su ciò che accade». Ancora, il ministro della Salute israeliano Yuli Eldestein, in un’intervista con il New York Times, si è definito «un anticipatore nel negoziato con l’industria farmaceutica». Israele ha pagato di più per avere i vaccini in anticipo «e questo è il motivo per cui la campagna vaccinale israeliana è andata così veloce».
Fra l’altro questo è un problema, il primo di una campagna vaccinale massiccia che tanto ha corso. Il vaccino contro il Covid-19, spiega il Washington Post, sta finendo: «Almeno un carico del Moderna arriverà in Israele ai primi di gennaio, invece che a marzo come pianificato. Questo però non sarà sufficiente ad evitare che molti appuntamenti vaccinali debbano essere rimandati». Finora Israele ha usato il vaccino Pfizer-Biontech che viene fabbricato in Belgio e dal ministero della Salute israeliano arrivano rassicurazioni: «Lavoriamo alacremente con le aziende vaccinali per consegnare molte più dosi». Vi sono però critiche verso la Pfizer: perché hanno fatto “passare avanti” Tel Aviv consegnando tutte queste dosi? Dall’azienda farmaceutica ovviamente ogni ipotesi di pressione viene smentita.
Secondo problema: la vaccinazione di massa arriva in Israele mentre nel paese imperversa, scrive Ha’Aretz, la terza ondata del virus, fra l’altro complicata dalla variante UK che è ben presente nel paese, complice anche l’inverno. Da ultimo, vi è l’allarme lanciato dai gruppi per i diritti umani: mentre gli israeliani vengono vaccinati in massa, i palestinesi sia dei territori sotto controllo dell’ANP, sia a Gaza, sia soprattutto nei cosiddetti territori occupati, verranno vaccinati non si sa quando. Secondo le ONG citate dal Guardian «Israele sta ignorando obbligazioni morali, umanitarie, legali».
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