La presidente di Medici Senza Frontiere Claudia Lodesani: «Il 75% dei vaccini somministrato in 10 Paesi del mondo. Ci sono Stati che non hanno ricevuto ancora una singola dose. I brevetti vanno sospesi per tutta la durata della pandemia»
Sono presenti in 80 Paesi con 65 mila operatori umanitari. Medici Senza Frontiere, che il prossimo 20 dicembre 2021 festeggerà 50 anni di attività, più di chiunque altro, in questo momento, ha il polso della situazione di quello sta accadendo nei Paesi in via di sviluppo, di cui si conosce troppo poco. Dilaniato da sempre da epidemie e guerre, l’emisfero più povero ha dovuto affrontare anche la pandemia da Covid, quindi un’emergenza nell’emergenza, senza avere dalla sua il megafono mediatico. A raccontare oggi cosa accade in quelle terre, in difficoltà e anche in ritardo nelle vaccinazioni, è Claudia Lodesani, infettivologa, Presidente di Medici Senza Frontiere.
«Il 75% dei vaccini è stato somministrato in soli 10 Paesi del mondo, mentre molti non hanno ancora ricevuto una singola dose: la prima fase della campagna vaccinale in corso ha escluso di fatto la maggior parte dei Paesi a medio e basso reddito. Se non aumenterà il numero di produttori globali, i Paesi a basso e medio reddito rimarranno in una posizione svantaggiata, con gravi conseguenze sulla risposta globale alla pandemia. Medici Senza Frontiere chiede che i vaccini Covid-19 siano distribuiti equamente, proteggendo gli operatori sanitari in prima linea e le persone più a rischio in tutti i Paesi e MSF sta inoltre esortando tutti, Italia compresa, ad appoggiare la proposta di India e Sudafrica per la sospensione temporanea dei brevetti e altri diritti di proprietà intellettuale su farmaci, test diagnostici e vaccini utili per la risposta al Covid-19 per tutta la durata della pandemia».
«Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aggiornati allo scorso 8 aprile, i casi confermati a livello globale hanno superato i 132 milioni. A differenza di una prima fase della pandemia, durante la quale il continente più duramente colpito era quello europeo, oggi le situazioni più critiche si registrano in America, Sud America e Asia. I Paesi che in assoluto contano più casi sono Stati Uniti, Brasile e India. La situazione in Brasile è particolarmente critica, specialmente in Amazzonia dove il sistema sanitario non riesce a far fronte in maniera adeguata all’emergenza; spesso scarseggiano le scorte di ossigeno e i posti in terapia intensiva per i pazienti con forme più gravi di Covid-19. In generale, nel corso degli ultimi 14 mesi Medici Senza Frontiere ha aperto nuove strade e adattato alle nuove sfide della pandemia i progetti che aveva già in corso in tutto il mondo, per non dimenticare tutte le altre malattie che continuano a colpire soprattutto le popolazioni dei Paesi più poveri. Per citare qualche esempio, in Niger abbiamo costruito un centro di trattamento Covid-19 da 45 posti letto, in Nigeria abbiamo realizzato diverse strutture per l’isolamento dei casi, mentre a Kinshasa, in Repubblica Democratica del Congo, è stata istituita un’unità presso il Centro ospedaliero Kabinda che si concentra sui pazienti sieropositivi che già seguiamo. In Yemen, le équipe di MSF stanno curando pazienti con sintomi respiratori in diversi centri Covid-19 da noi supportati, oltre ad aver svolto attività di formazione agli operatori sanitari locali, rafforzato le misure di prevenzione e controllo delle infezioni e allestito strutture per l’igiene, adattando i propri progetti in tutto il Paese per rispondere al nuovo coronavirus».
«Una strategia realistica di contenimento ed eventualmente di eradicazione del Covid-19 prevede che il vaccino venga reso disponibile a tutti i Paesi del mondo, inclusi i più poveri, e che vengano realizzate delle efficaci campagne di vaccinazione. L’accessibilità universale al vaccino contro il Covid-19 non è solo una questione di equità, ma anche di salute pubblica e la precondizione necessaria perché si inneschi il fenomeno dell’immunità di gregge. Per questo motivo Medici Senza Frontiere chiede ai Paesi che hanno firmato accordi bilaterali con le imprese farmaceutiche di condividere le loro dosi così da vaccinare gli operatori sanitari in prima linea e le persone ad alto rischio nei Paesi in via di sviluppo prima di quelle a basso rischio dei Paesi ricchi. I governi devono sollecitare le case farmaceutiche a lavorare con il programma COVAX perché sia garantita una fornitura sufficiente di vaccini Covid-19 a prezzi accessibili destinati a proteggere i gruppi prioritari nei Paesi a medio e basso reddito».
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