L’ex direttore esecutivo Ema e direttore scientifico Consulcesi Guido Rasi commenta la Dichiarazione di Roma
Il Global Health Summit si è concluso e ci ha lasciato i 16 principi della Dichiarazione di Roma. Ad una prima analisi si può dire che la pandemia ha ottenuto l’effetto di generare la consapevolezza universale sulla necessità di gestire la salute pubblica a livello mondiale, con un coordinamento unico e concordato, per lo meno nei suoi aspetti fondamentali e sicuramente nella gestione delle emergenze. Con buona pace del Titolo V e delle regioni.
Anche su quali siano i problemi da affrontare e quali aspetti prioritari da considerare sembra si sia raggiunta finalmente una consapevolezza globale. Visti da una certa prospettiva i 16 principi possono risultare il solito elenco dei sogni, conditi con le parole che tutti ci aspettiamo di sentire e che non possiamo non condividere: solidarietà, uguaglianza, collaborazione, sinergia, etc. In realtà l’elenco è sì molto lungo, ma piuttosto esaustivo e preciso nel descrivere i fattori che sarà necessario considerare, sviluppare e gestire per iniziare a realizzare almeno in parte i principi enunciati. Vi è quindi oltre ad una consapevolezza anche una buona condivisione riguardo agli approcci metodologici da seguire e alle conseguenti azioni da intraprendere.
Gli annunci e l’attenzione mediatica che hanno preceduto il summit erano molto concentrati sulla liberalizzazione dei brevetti e la sospensione delle licenze, quale panacea per risolvere tutti i problemi della disponibilità di vaccini. Senza riaprire il dibattito sulla eticità di proprietà intellettuale, brevetti e licenze, durante il summit evidentemente è emerso come il problema della produzione di vaccini per 8 miliardi di persone in tempo utile per questa pandemia non dipendesse dalla sospensione di brevetti e licenze.
Vaccini nuovi ad alta tecnologia possono essere prodotti solo da strutture adeguatamente qualificate ed esperte. Correttamente (al punto n 7) si incoraggia il rafforzamento della capacità produttiva attraverso accordi volontari di condivisione delle licenze, tecnologie e know-how. Questo approccio può consentire di aumentare l’attuale capacità produttiva e, cosa altrettanto importante, di porre le basi per una futura minore dipendenza di molte aree del mondo da altri paesi.
Anche gli Stati da cui erano partiti grandi proclami di sospensione dei brevetti, USA e Russia in testa seguiti dall’Italia, hanno preso atto della realtà e seguito una linea più pragmatica. Draghi ha dichiarato disponibilità a parlare di sospensioni temporanee trovando però soluzioni che non disincentivino l’innovazione. Senza garanzie di brevetto immaginiamo chi investirebbe ora sulle modifiche dei vaccini qualora fossero necessarie per le varianti o per migliorarne la stabilità senza doverli conservare a basse temperature e renderli più trasportabili.
In realtà durante il summit è chiaramente emerso come l’accesso ai vaccini in una gran parte del mondo dipenda anche da due altri problemi quasi insormontabili, la distribuzione e la somministrazione. Abbiamo visto le difficoltà di avviare una campagna vaccinale in Europa, il continente con i sistemi sanitari più capillari e sviluppati del mondo, e non è difficile immaginare quali difficoltà possano incontrare sistemi meno sviluppati ed organizzati.
Questi aspetti sono stati ben individuati e descritti nella Dichiarazione (punti n 5 e 6) indicando anche possibili soluzioni concrete, nelle iniziate COVAX e ACT-A (Access to COVID-19 Tools- Accelerator). La Dichiarazione ribadisce la determinazione a perseguire un livello di accesso globale alla sanità, “One Health”, con coordinamento centrale da parte di istituzioni quali l’OMS, debitamente finanziate e riorganizzate.
Perché tutto ciò poi funzioni si devono raggiungere e condividere livelli standard di conoscenza e competenza. Molto opportunamente è stata enfatizzata l’importanza di una formazione sia del personale sanitario che dei responsabili di sanità pubblica, sia in termini di interventi farmacologici che non-farmacologici. È chiaro che senza una formazione che scenda a cascata coinvolgendo tutti i livelli della sanità pubblica qualsiasi investimento per gigantesco che possa essere sarà destinato a fallire.
Una conclusione che potremmo suggerire è “una salute globale – una formazione globale”. La immediata consapevolezza che dobbiamo conseguire è che la prossima pandemia potrebbe avere un agente infettivo che si trasmette in maniera diversa o per il quale non riusciremo a fare un vaccino. La prossima pandemia forse è già cominciata e si chiama antibiotico-resistenza e richiederà tanti incentivi all’innovazione. Siamone consapevoli.
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