Ha lasciato la sua terra il 24 febbraio con moglie e tre figli. Da un mese è rifugiato a Siret dove presta soccorso come medico di contatto per la Fondazione Emilio Falco
Liviu Acostacoi è un medico gastroenterologo, è fuggito da Chernivtsi il 24 febbraio con la famiglia. Oltre alla moglie Vera ha tre figli di quattro, tre e sei mesi e per questo non è stato chiamato alle armi. Da un mese è rifugiato a Siret dove presta soccorso come medico di contatto ai profughi ucraini. Guadagna 350 euro al mese che è il salario minimo rumeno e da qualche giorno lavora anche per la fondazione Emilio Falco. L’abbiamo incontrato con Fabrizio Protti, direttore della fondazione che permette a molti rifugiati di avere assistenza psicologica, integrazione sociale e un posto di lavoro. «In questo momento non posso fare il gastroenterologo – racconta grazie alla traduzione di Fabrizio Protti – non sono cittadino comunitario e se dovessi fare delle cure e perdere un paziente, il problema sarebbe non solo mio, ma di tutto il sistema sanitario rumeno quindi per ora mi dedico all’attività di accoglienza».
Liviu oggi non può svolgere la sua attività clinica, anche se, nelle ultime ore, il governo ha deciso di concedere ai medici ucraini la possibilità di esercitare anche in Romania. «I medici sono pochi e per l’emergenza sanitaria che sta crescendo – spiega Protti – ieri è uscita una circolare del governo secondo la quale le lauree ucraine in medicina, farmacia e odontoiatria sono equiparabili a quelle europee, permettendo così ai medici fuggiti dalla guerra di svolgere la loro professione».
In attesa di riprendere la sua attività, Liviu accoglie i profughi, li ascolta, e indirizza i più bisognosi ai centri di cura. «Ci sono due strutture, una di prima accoglienza – racconta- dove arrivano i profughi e vengono assistiti da volontari delle organizzazioni umanitarie, da psicologi e psichiatri di stato e una seconda allestita presso il campo sportivo di Siret dove vengono accompagnate le persone prive di documenti e dove c’è un altro punto di osservazione medico fornito dall’ospedale di Siret e dal centro psichiatrico. A quel punto chi ha bisogno di cure specifiche viene indirizzato all’ospedale, per gli altri c’è un programma di assistenza psicologica durante il percorso di integrazione». La vera emergenza nei campi profughi di Siret oggi è psicologica. Liviu racconta di gravi stati di stress, attacchi di panico e tremori che si riscontrano soprattutto negli adulti. «I bambini invece vengono distratti con il gioco – aggiunge Fabrizio – e dunque non mostrano paura o preoccupazione, probabilmente le difficoltà emergeranno nel lungo periodo».
A pochi chilometri, oltre il confine, la situazione sanitaria si fa di giorno in giorno più grave. «Nelle zone di guerra oggi il problema è rappresentato dall’accumulo di cadaveri civili e militari nelle strade. Il caldo non aiuta e il rischio di epidemie è molto alto», ammette Liviu che è in costante contatto con amici e parenti rimasti in Ucraina. A preoccupare maggiormente però sono le possibili radiazioni. «Al di là della centrale di Chernobyl – dice – c’è Raphachoia dove ci sono sei reattori nucleari e se dovesse verificarsi una esplosione le conseguenze sarebbero catastrofiche». Abbassa gli occhi e guarda l’orizzonte, meglio non ipotizzare uno scenario del genere, «dobbiamo auspicare la pace, per i nostri figli». Il sogno è di tornare a casa, in Ucraina, a Chernivtsi dove ancora vivono gli anziani genitori che non hanno voluto abbandonare la loro terra. «Se questo non sarà possibile, cercherò di mettere a frutto la mia esperienza di medico gastroenterologo in Romania o in un altro paese europeo».
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