ActionAid lancia il progetto Chain, la responsabile: «È nato con l’obiettivo di rafforzare in cinque paesi europei, fra cui l’Italia, la prevenzione, la protezione e il sostegno a donne e ragazze esposte al rischio di mutilazioni genitali femminili o matrimoni forzati e precoci»
«Mia madre mi ha dato lo “strumento” e lo ha poggiato sulla mia testa». Così Rahel, giovane tanzana, racconta la cerimonia che l’ha consacrata a tagliatrice. Lo “strumento” è la lama che da quel momento ha utilizzato per praticare le mutilazioni genitali femminili, portando avanti un’antica tradizione di famiglia. Poi, ha conosciuto ActionAid e da tagliatrice è diventata educatrice: ha viaggiato in giro per l’Europa e, incontrando le comunità migranti in cui ancora persiste questa tradizione mutilatoria, è riuscita a far cambiare idea a tante persone.
Per arginare il fenomeno di Rahel ce ne vorrebbero migliaia: le mutilazioni genitali sono tuttora praticate in almeno 92 paesi del mondo. Nessun continente è escluso, anche se la diffusione è maggiormente radicata in Africa centrale e in alcune aree del Medio Oriente e dell’Asia. «Solo in Italia sarebbero 87.600, di cui 7.600 minorenni, le donne portatrici di mutilazioni genitali femminili. Le bambine a rischio sarebbero invece circa 5 mila. E sono soprattutto le donne nigeriane, etiopi ed egiziane a essere le più inclini al proseguimento di questa pratica», racconta Benedetta Balmaverde project manager di ActionAid, citando i dati più recenti raccolti dall’Università Milano Bicocca nel 2019.
«Le mutilazioni genitali femminili sono spesso ritenute un rito di passaggio, un momento essenziale per l’accettazione della bambina da parte della comunità – spiega Foad Aodi presidente dell’Associazione Medici di Origine Straniera in Italia (Amsi) e membro della Commissione Salute Globale della FNOMCeO -. Non sono dettate da credenze religiose, piuttosto radicate in antiche credenze tribali. C’è chi pur vivendo in Italia da anni continua a mantenere usi e costumi del suo Paese di origine, comprese le credenze legate a pratiche disumane come le mutilazioni genitali. Azioni, che essendo espressamente vietate dalla legge, vengono praticate clandestinamente, in luoghi insalubri che aggravano ulteriormente i rischi per la salute di chi le subisce. È un’atrocità contro l’umanità», sottolinea Foad Aodi.
Tra le principali motivazioni che hanno spinto Rahel a deporre lo “strumento” ci sono enormi rischi per la salute delle bambine che vengono sottoposte, anche da piccolissime, alle mutilazioni genitali: «Sono rimasta sconvolta nell’imparare che anche le infezioni, tra cui malattie sessualmente trasmissibili come la gonorrea, vengono passate da una bambina all’altra, per via dello “strumento” usato su tante», racconta l’ex tagliatrice.
Ma i rischi per la salute non si racchiudono solo nelle manifestazioni a breve termine: «Oltre ad emorragie che possono manifestarsi al momento delle mutilazioni e le infezioni immediatamente successive – spiega Balmaverde – esistono conseguenze cosiddette a lungo termine, come problemi urinari, mestruali, rischio di complicanze durante il parto dei problemi e conseguenze molto serie anche a livello psicologico, come il disturbo da stress post-traumatico».
In Italia le mutilazioni genitali sono espressamente vietate dalla legge (l. 7/2006) e contrastate da due piani programmatici (2007 e 2011). «Uno sforzo non sufficiente se si considera che il Numero Verde 800 300 558 contro le mutilazioni genitali femminili, gestito dal Ministero dell’Interno, nel biennio 2020-2021, ha ricevuto 13 chiamate, di cui solo 4 inoltrate alle squadre mobili competenti», aggiunge Balmaverde.
Per Foad Aodi la prevenzione necessita di quattro parole d’ordine: «Formazione e informazione sia per i sanitari che per le comunità, istruzione (queste pratiche sono più diffuse laddove c’è meno scolarizzazione) e protezione, poiché chi rifiuta, denuncia o collabora dev’essere assistito e protetto».
Una sinergia che ActionAid ha racchiuso in un nuovo modello operativo di intervento che coinvolge scuola, servizi sociosanitari, forze dell’ordine, comunità migranti e Community Trainer, ovvero figure chiave selezionate tra cinque comunità (Somalia, Nigeria, Egitto, Pakistan e Senegal) a cui è affidato un lavoro di prevenzione e contrasto alle mutilazioni genitali femminili e ai matrimoni precoci e forzati.
«Si chiama Chain ed è un progetto nato con l’obiettivo di rafforzare in cinque paesi europei, fra cui l’Italia, la prevenzione, la protezione e il sostegno a donne e ragazze esposte al rischio di mutilazioni genitali femminili o matrimoni forzati e precoci. Grazie a incontri di formazione e percorsi di consapevolezza sui propri diritti – spiega Benedetta Balmaverde, responsabile del progetto Chain a Milano -, si restituisce un ruolo centrale alle comunità maggiormente a rischio per contrastare tali pratiche, dando voce a livello politico alle istanze e ai bisogni delle donne e delle ragazze colpite da queste due forme di violenza. Il modello, sviluppato per la città di Milano, può essere adattato e adottato anche in altri territori del Paese – aggiunge Balmaverde, responsabile -. Si compone di tre fasi. La prima è l’emersione, attraverso cu si raccolgono segnali di rischio o si viene a conoscenza di un caso. Poi c’è l’invio, che consiste nella segnalazione di un caso a uno o più attori sul territorio per facilitare l’accesso a servizi di assistenza di base e specialistici. Fino all’assistenza e protezione, volte a proteggere e supportare la bambina, ragazza o donna – conclude – nell’uscita dalla situazione di rischio».
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