Intervista a Vittorio Agnoletto, portavoce per l’Italia di “No profit from pandemic”: «Serve equilibrio fra le ragioni del profitto e il diritto alla salute e alla vita»
«Al 31 di gennaio del 2020 risultano vaccinati, a livello nazionale, con ambedue i richiami, qualcosa come 600mila persone. Parliamo di un centesimo della popolazione nazionale, appare evidente che se procediamo a questo ritmo non ci sia bisogno alcuno di far commenti». A parlare è Vittorio Agnoletto, medico, docente di Globalizzazione e politiche della salute presso l’Università statale di Milano. Già parlamentare, una vita nell’attivismo e nella militanza, oggi è il portavoce per l’Italia della campagna “No profit on pandemic”, un’iniziativa trans-statale europea che unisce ONG, gruppi di pressione, associazioni e cittadini per chiedere posizioni nette prima di tutto alla Commissione Europea affinché renda «i vaccini e le cure anti-pandemiche un bene pubblico globale, accessibile gratuitamente a tutti e tutte».
Al centro del problema, ci spiega il professor Agnoletto, la questione dei diritti di brevetto che coprono le produzioni farmaceutiche, fra cui i vaccini. «In base agli accordi TRIPS del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, qualunque azienda metta in commercio un farmaco o un vaccino ha il diritto di sfruttamento esclusivo per i successivi 20 anni. Come in altre situazioni, noi oggi fronteggiamo questa condizione; le aziende vaccinali sono monopoliste del prodotto, in un regime di libera concorrenza e ricerca del prezzo vendono a chi offre di più». È notizia recente che la commissaria europea Ursula Von Der Leyen abbia annunciato che intende imporre ad AstraZeneca il puntuale rispetto degli obblighi commerciali sottoscritti ma, sottolinea Agnoletto, questa strada rischia di essere piena di armi spuntate.
«Discutere di multe con le grandi corporation è qualcosa di sinceramente risibile. Dal 1991 al 2015 l’insieme delle multinazionali farmaceutiche è stata multata per 37,5 miliardi di dollari ma in soli 10 anni dal 2003 al 2012 le 11 maggiori aziende hanno fatturato qualcosa come 711 miliardi di dollari», spiega Agnoletto: «Si capisce che queste sanzioni siano poco più di una multa per eccesso di velocità. Vi è poi un’altra questione: come è noto, i governi hanno pesantemente sovvenzionato lo sviluppo dei vaccini, sollevando il settore privato dal rischio finanziario. Il problema è che in cambio di queste sovvenzioni, scarse o nulle condizioni sono state imposte al settore privato: i governi hanno finanziato i vaccini lasciando profitti e brevetti interamente all’industria. Gli studi che abbiamo a disposizione sostengono che le industrie farmaceutiche guadagneranno fra i 20 e i 60 miliardi di dollari grazie alle vendite dei vaccini. In questo quadro la privatizzazione del brevetto vaccinale è, a nostro giudizio, priva di senso».
La campagna “No Profit on Pandemic” punta allora a scavalcare appunto la proprietà privata del brevetto vaccinale, sostanzialmente pretendendo e ottenendo che la formula del vaccino venga sbloccata e resa “a codice aperto”. «Quel che abbiamo costruito è una Iniziativa dei Cittadini Europei, uno strumento proposto dal Diritto Comunitario: grazie all’autorizzazione degli uffici di Bruxelles – continua Agnoletto – abbiamo l’obiettivo di raccogliere un milione di firme in Europa, di cui 180mila in Italia, tramite sottoscrizione online, per chiedere alla Commissione Europea sostanzialmente tre cose. Primo, alla prima metà di marzo andrà in discussione al WTO la richiesta di India e Sudafrica di una moratoria sui brevetti. Noi chiediamo che la Commissione Europea appoggi tale richiesta: questi paesi propongono che venga sospeso il brevetto vaccinale per il Coronavirus in cambio di un indennizzo a favore delle grandi compagnie farmaceutiche, che dovrà essere quantificato dentro il WTO con una discussione tra tutti i Paesi. Secondo, chiediamo che la Commissione Europea rimetta in discussione gli accordi con le aziende farmaceutiche, stabilendo che almeno i brevetti di quei vaccini, la cui ricerca è stata finanziata con soldi pubblici, siano considerati un bene comune a disposizione dell’umanità».
Da ultimo, continua Agnoletto, «chiediamo che gli stati attivino la cosiddetta clausola di “licenza obbligatoria” contenuta negli accordi con le case farmaceutiche. Si tratta di una clausola di salvaguardia che consente ai paesi che sono in difficoltà economica o emergenza sanitaria, e che necessitano di farmaci salvavita – quale è certamente il vaccino – di scavalcare il brevetto e produrre in autonomia questi farmaci. La nostra campagna – conclude Agnoletto – si propone dunque come un punto di equilibrio fra le ragioni del profitto e il diritto alla salute e alla vita».
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