Circa 10 milioni di over-65 con multimorbilità e disabilità. Il Presidente Bernabei: «Dotare la medicina territoriale di strumenti concreti e chiare direttive organizzative. Le risorse in arrivo dall’Europa sono un’occasione da non sprecare»
La pandemia ci consegna il ritratto di un’Italia colpita nel suo punto più debole: gli anziani fragili, e la difficoltà del suo sistema sanitario e assistenziale a farsene carico in maniera adeguata. C’è voluto il Covid per ricordarci che con quasi 14 milioni di over-65 (di cui 5 milioni e mezzo affetti da almeno tre malattie croniche e 4 milioni con disabilità gravi)1, la multimorbilità e la fragilità sono la vera sfida per il Paese. Sfida che impone, oggi, un cambio di passo.
«Il Covid è stato un naturale stress-test del nostro sistema sanitario, del quale ha mostrato le fragilità sul territorio e una certa resilienza all’interno dell’ospedale – commenta il prof. Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva e componente del Comitato tecnico-scientifico. Di medicina territoriale si parla già da tempo, ora è arrivato il momento di dotare l’assistenza primaria di strumenti concreti e chiare direttive organizzative, e le risorse in arrivo dall’Europa sono un’occasione da non sprecare».
Due sono le direttrici lungo le quali procedere: da un lato la riorganizzazione e il potenziamento dell’offerta dei servizi territoriali, a partire dalle cure domiciliari, dall’altro l’utilizzo di strumenti di valutazione standardizzati per riconoscere, misurare e trattare la fragilità. Due importanti novità in tal senso sono rappresentate dall’Indice della fragilità in Medicina Generale e dall’Indicatore sintetico di aderenza (strettamente correlato al fenomeno della politerapia – il 14% degli anziani assume 10 o più farmaci al giorno), presentati nel corso della quinta edizione degli “Stati Generali dell’assistenza a lungo termine”, la due giorni di approfondimento e confronto sulla Long-Term Care organizzata da Italia Longeva, che ha preso il via oggi in edizione virtuale.
Per capire che la long-term care, l’assistenza territoriale, non abbia retto dinanzi alla pandemia, basta guardare all’offerta di servizi di assistenza domiciliare (ADI) e residenzialità assistita (RSA), che nel 2019 è rimasta pressoché immutata rispetto all’anno precedente. Assistenza carente, a fronte di un aumento dell’assistenza informale, cioè ad opera di caregiver non professionali, che in Italia è svolta per circa il 70% dagli immigrati. A rivelarlo è l’Indagine di Italia Longeva “Anno 2020: stress-test della long-term care”, curata da Davide Vetrano, ricercatore al Karolinska Institutet di Stoccolma e consulente scientifico di Italia Longeva, in collaborazione con la Direzione Generale della Programmazione sanitaria del Ministero della salute e l’Istituto Superiore di Sanità.
Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2019 il 2,4% degli over-65 è stato assistito in RSA (329mila persone, il 91% con più di 75 anni) e 2,8 anziani su 100 (378mila persone) hanno ricevuto cure a domicilio, meno di un terzo rispetto ai valori europei che si attestano intorno all’8-10%, e con forti divari regionali. Più confortante è il quadro relativo all’offerta di cure palliative ai malati oncologici. Ne 2019, ne hanno beneficiato circa 50mila pazienti (il 29,7% del totale), che sono stati assistiti dalla rete delle cure palliative presso il domicilio o in hospice (+5,3% rispetto al 2017).
«Oggi la grande urgenza, e priorità di investimento, è mettere il sistema sanitario nelle condizioni di curare il maggior numero di anziani a casa – aggiunge il prof. Bernabei. Ma l’assistenza domiciliare non è una cosa che si improvvisa, bisogna saperla fare, avere competenze articolate, capacità di valutazione dei bisogni e di intervento sul paziente. E richiede tecnologie, strumenti di valutazione del bisogno precisi e standardizzati. La priorità è innanzitutto definire chi la fa e come si fa. Usiamo le risorse del Recovery Fund per costruire un modello di assistenza domiciliare efficiente e moderno, per non farci trovare impreparati quando arriverà la prossima pandemia, un’ondata di calore o qualsiasi altro tipo di emergenza con un impatto sulle fragilità».
Se l’obiettivo è affrontare la complessità e non la singola patologia, allora la priorità è riuscire a tracciare l’identikit di ogni paziente fragile multi-morbido. La buona notizia – come riporta l’approfondimento monotematico su “multimorbilità e fragilità” contenuto nell’Indagine di Italia Longeva – è che i medici di famiglia potranno avvalersi di uno strumento per misurare la fragilità nei loro assistiti, messo a punto dalla Società Italiana di Medicina Generale, in collaborazione con Italia Longeva e con il Karolinska Institutet di Stoccolma. L’indice della fragilità si basa su un algoritmo informatico che, analizzando la combinazione di “25 deficit predefiniti” (malattie croniche, limitazioni funzionali, assunzione di un elevato numero di farmaci, vulnerabilità sociale, ecc.), riesce a prevedere, ad esempio, chi è a rischio di cadute, di sarcopenia, di sviluppare demenza e disabilità, fino alla predizione accurata del rischio di ospedalizzazione e decesso.
«Va organizzata una filiera assistenziale per la presa in carico dell’anziano centrata sulla misurazione della fragilità – commenta ancora il Presidente Bernabei – da parte del medico di medicina generale, che deve valutare il livello di fragilità dei suoi assistiti; da parte dell’ospedale che, sin dall’arrivo in Pronto Soccorso, deve inquadrare il livello di fragilità del paziente per agevolare il buon funzionamento della macchina della continuità assistenziale al momento delle dimissioni. Ancora, conoscere la distribuzione dell’indice di fragilità dei residenti di una RSA può aiutare a stimare in anticipo il carico assistenziale richiesto e le risorse da mettere in campo. L’informatizzazione di queste valutazioni e la loro accessibilità sono un elemento imprescindibile per migliorare i processi e per realizzare una long-term care di qualità».
Se dal punto di vista assistenziale è importante ripensare alcuni settori del sistema sanitario che si sono rivelati ‘fragili’ con la pandemia, a partire dalle RSA, per migliorare la governance della long-term care è necessario dare una risposta efficace e sostenibile anche al tema della (mancata) aderenza alla terapia, strettamente correlata all’aumento della multimorbilità e della politerapia (l’utilizzo di 5 o più farmaci), che comporta un maggior rischio per i pazienti di complicanze e ricoveri, e un aumento significativo dei costi sanitari.
Va in questa direzione la proposta di Italia Longeva di un Indicatore sintetico di aderenza, da inserire tra gli indicatori monitorizzati nel Nuovo Sistema di Garanzia dei LEA, quale strategia standardizzata di misurazione dell’aderenza in tutto il Paese. Ad oggi, infatti, il tema dell’aderenza è assente tra i criteri da rispettare per garantire l’adempimento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), venendo così a mancare un meccanismo che incentivi le Regioni e le Aziende sanitarie a mettere in atto interventi mirati per promuovere una maggiore aderenza, fattore determinante per raggiungere migliori outcome di salute nella popolazione e ridurre i costi a carico del SSN.