La diagnosi genetica preimpianto, tecnica relativamente recente, è uno strumento fondamentale per la salute di tanti futuri bambini. Eppure la questione, in Italia, è complessa e dibattuta. Per fare chiarezza, ecco le dieci cose da sapere sulla diagnosi preimpianto, utili per tutte le coppie che iniziano un percorso di fecondazione assistita. Le informazioni sono tratte […]
La diagnosi genetica preimpianto, tecnica relativamente recente, è uno strumento fondamentale per la salute di tanti futuri bambini. Eppure la questione, in Italia, è complessa e dibattuta. Per fare chiarezza, ecco le dieci cose da sapere sulla diagnosi preimpianto, utili per tutte le coppie che iniziano un percorso di fecondazione assistita.
Le informazioni sono tratte dalla Guida “Diagnosi preimpianto, istruzioni per l’uso”, realizzata dal Centro Demetra, con la consulenza, tra gli altri, della genetista Daniela Zuccarello dell’Università di Padova e di Filomena Gallo, Associazione Luca Coscioni e distribuita in occasione del convegno dedicato al tema, in corso in questi giorni a Roma. «Abbiamo deciso di mettere a punto questa guida – sottolinea Claudia Livi, ginecologa del Centro Demetra di Firenze – per aiutare i futuri genitori spiegando loro i passi necessari da affrontare in un percorso di fecondazione assistita, in cui è prevista la diagnosi preimpianto. Ricordiamo che è necessario rivolgersi a un centro specializzato per iniziare i consulti con diverse figure specializzate come il ginecologo, il genetista, l’embriologo e lo psicologo».
Queste le risposte alle domande più frequenti sulla diagnosi preimpianto:
La diagnosi genetica preimpianto (Preimplantation Genetic Diagnosis, PGD) è considerata la forma più precoce di diagnosi prenatale e permette alle coppie di evitare il ricorso all’aborto terapeutico, scelta che può avere conseguenze devastanti sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista psicologico. È una procedura che consiste nell’analisi di alcune cellule di un embrione con l’obiettivo di identificare l’embrione da trasferire, e evitare il trasferimento di embrioni che potrebbero essere affetti da malattie gravissime, quando presenti in famiglia o nei genitori, o embrioni che non si impianterebbero o verrebbero abortiti o darebbero luogo a nascite di bambini con gravi alterazioni cromosomiche.
Sì. Le sentenze della Corte Costituzionale che hanno portato alle modifiche della Legge 40 sono tutte partite da coppie che dovevano effettuare una diagnosi preimpianto; inoltre, nel 2015 è stata riconosciuta anche alle coppie fertili e portatrici di malattie genetiche la possibilità di ricorrervi (la legge 40 escludeva la possibilità alle coppie fertili). Attualmente le tecniche di diagnosi preimpianto risultano escluse dal Servizio Sanitario Nazionale. Su questo fronte, i tribunali stanno imponendo alle Regioni ad inserire la prestazione nei LEA regionali. Inoltre, alcune associazioni di pazienti e l’Associazione Luca Coscioni hanno promosso un appello al Ministro della Salute con oltre 2.000 mila firme in cui chiedono che le tecniche di diagnosi preimpianto siano inserite nei Lea e che siano definite tariffe idonee per tutte le tecniche di PMA. Attualmente inoltre non tutte le strutture pubbliche eseguono tutte le tecniche di PMA per cui sono autorizzate e poche sono le regioni con centri privati convenzionati.
La prima cosa da fare è individuare un centro specializzato che possa indirizzare la coppia verso il percorso più adatto a loro, sia dal punto di vista genetico che ginecologico. Prima di intraprendere la diagnosi preimpianto è essenziale fare il colloquio con il genetista e il ginecologo, eseguire gli esami clinici preliminari e poi sottoporsi al trattamento di PMA che precede la diagnosi preimpianto.
I dati riportati nella letteratura scientifica internazionale dimostrano che la biopsia degli embrioni al 5° giorno di sviluppo (stadio di blastocisti) è priva di conseguenze sulla vitalità delle blastocisti stesse. L’embriologo però deve essere esperto, poiché se con la biopsia si prendono poche cellule (3 o meno) è probabile che la biopsia non possa essere letta, se al contrario la biopsia è di troppe cellule, può determinare la diminuzione della percentuale di nati vivi. Quindi l’embriologo deve avere capacità ed esperienza specifica. La percentuale di accuratezza della diagnosi preimpianto (sia con PGT-M, PGT-SR e con PGT-A) è molto alta, ma esiste una piccola possibilità di errore (1%). È per questo motivo che viene sempre consigliata una diagnosi prenatale, la villocentesi o l’amniocentesi, che confermi l’esito della diagnosi preimpianto.
Se ci sono embrioni trasferibili, la percentuale varia a secondo del tipo di diagnosi preimpianto, ma in media, supera il 40%. Inoltre, la diagnosi preimpianto per la valutazione dei cromosomi riduce l’effetto negativo legato all’età della donna, in una gravidanza.
Emofilia A e B, Beta-Talassemia, Distrofia muscolare di Duchenne e Becker, fibrosi cistica, Sindrome X Fragile, Atrofia muscolare spinale, sono solo alcune, tra le più frequenti, delle malattie monogeniche prevenibili con la diagnosi preimpianto.
Se da una parte, consentire di selezionare l’embrione non malato e quindi ridurre i rischi di aborto, influisce positivamente sul vissuto dei pazienti e ne riduce lo stress emotivo, dall’altra è certamente vero che durante il percorso di diagnosi preimpianto la coppia può andare incontro a momenti difficili dal punto di vista psicologico, a causa dei tempi di attesa della procedura e al fatto che la diagnosi preimpianto non dà la certezza di riuscita. Inoltre esiste, anche se minima, una percentuale d’errore e la procedura di screening non garantisce che l’embrione attecchirà né che verrà portata a termine la gravidanza. È importante non incorrere in false illusioni e rimanere consapevoli che le tecniche sono un valido aiuto al concepimento ma non rappresentano una certezza.