Contributi e Opinioni 28 Dicembre 2020 17:47

Idrossiclorochina, ecco la relazione che ha portato il Consiglio di Stato a riammettere l’uso off label del farmaco

Nella relazione elaborata da Alessandro Capucci, Luigi Cavanna e Paola Varese si sottolinea: «Decisione AIFA in forte contrasto con molti principi deontologici della professione medica e norme decisionali nell‘ambito dell‘incertezza, come il principio di precauzione»

«La decisione dell‘AIFA di proibire l‘utilizzo dell‘HCQ al di fuori dei trial clinici è in forte contrasto con molti principi deontologici della professione medica e norme decisionali nell‘ambito dell‘incertezza, come il principio di precauzione». È una delle conclusione a cui giunge la lunga e dettagliata relazione elaborata dal professor Alessandro Capucci, cardiologo già Direttore della Scuola di Specialità in Malattie Cardiovascolari presso l’Università Politecnica delle Marche e direttore della Clinica di Cardiologia Ospedale Torrette in Ancona, dal professor Luigi Cavanna, oncologo Direttore Dipartimento di oncologia-ematologia dell’Azienda USL di Piacenza e dalla Dott.ssa Paola Varese, oncologa e Direttore SC Medicina e DH oncologico ASLAL Piemonte Presidio Ovada che ha convinto i giudici della Terza Sezione del Consiglio di Stato a riammettere l’uso off label dell’idrossiclorochina per la cura del Covid-19 precedentemente vietato da una determinazione dell’AIFA.

«L‘evidenza sul campo, che è quella di maggiore rilevanza dal punto della validità esterna, garantita anche da un corretto decorso terapeutico sotto stretto controllo medico, dimostra con significatività statistica molto alta l‘efficacia e la sicurezza del farmaco», si legge nella relazione.

E ancora: «L‘efficacia e la sicurezza dell‘HCQ (soprattutto in trattamento precoce e di durata limitata nel tempo) è anche suffragata dalle conoscenze sulla farmacocinetica della molecola e da studi svolti in precedenza su un virus analogo».

Nella relazione, in cui si citano i principali studi compiuti sulla molecola, vengono anche riportate le evidenze emerse dalla prima fase: «Dalle casistiche raccolte in modo spontaneo in varie regioni d‘Italia nella prima fase epidemica (marzo-aprile 2020) – si legge – emerge in modo coerente e ripetuto che il confronto tra tasso di ospedalizzazione di chi viene trattato con idrossiclorochina (±azitromicina) è del 5-6%, a fronte di un tasso del 20% relativo dei soggetti affetti da SARS-COV-2 sottoposto ad altri protocolli terapeutici, come riportato dai rapporti di ISS dello stesso periodo ( ISS – Istituto Superiore di Sanità. Epidemia COVID-19. Aggiornamento nazionale 26 marzo 2020).

LEGGI LA RELAZIONE SU IDROSSICLOROCHINA

Secondo gli autori della relazione l‘AIFA, come anche le altre agenzie del farmaco internazionali e istituti sovranazionali (FDA, EMA, WHO etc.) demandate a salvaguardare la salute e il benessere dei cittadini «plausibilmente soverchiate dalla considerevole mole di informazioni ricevute in patente asimmetria informativa rispetto ai maggiori produttori di conoscenza in questo settore, cioè le stesse case farmaceutiche, e gli istituti di ricerca da esse finanziati, hanno ritenuto importante considerare l‘evidenza loro fornita, privilegiando il criterio di validità interna rispetto a quello di validità esterna, finendo per basare il proprio giudizio su dati assolutamente irrilevanti rispetto all‘elucidazione della questione relativa».

«Privilegiando i requisiti di validità interna, le agenzie del farmaco, sono state costrette, per la mancanza di studi sperimentali condotti sull’effettiva popolazione di riferimento (pazienti positivi al COVID trattati a domicilio), a violare il requisito di validità esterna, che però precede ogni altro criterio, in quanto determina la rilevanza dell‘evidenza. Cioè, in termini giuridici, la sua ammissibilità».

LEGGI ANCHE: IL CONSIGLIO DI STATO RIABILITA L’IDROSSICLOROCHINA: «INCERTEZZA SU EFFICACIA NON GIUSTIFICA SOSPENSIONE»

La validità esterna viene stabilita di volta in volta confrontando la tipologia del campione con la popolazione di riferimento (target population), cioè la popolazione di pazienti a cui sarà destinato il trattamento.

Anche sul fronte della sicurezza del farmaco gli autori hanno portato prove consistenti: «Diversi lavori hanno evidenziato la sicurezza di impiego dell‘HCQ sia in terapie prolungate che in cicli terapeutici brevi con dosi non necessariamente elevate, anche di 200 mg 2 volte al giorno (M. Million et al Early treatment of COVID-19 patients with hydroxychloroquine and azithromicyn: a retrospective analysis of 1061 cases in Marseille, France. Travel Med Infect Dis 2020; 35:101738)».

Dunque secondo Cavanna, Capucci e Varese «la decisione dell‘AIFA di proibire l‘utilizzo dell‘HCQ al di fuori dei trial clinici è in forte contrasto con molti principi deontologici della professione medica e norme decisionali nell‘ambito dell‘incertezza, come il principio di precauzione. Di fronte all‘assenza di ogni valida alternativa, e alla gravità di una patologia se lasciata al suo decorso naturale nei soggetti più deboli, è norma consolidata l‘autorizzazione dell‘uso off-label di un farmaco, istituzionalizzata nel cosiddetto uso compassionevole».

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