Una ricerca dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia dimostra il legame tra geni ed eventi traumatici dell’età evolutiva nel successivo sviluppo della depressione. Annamaria Cattaneo, ricercatrice dell’Istituto, ha pubblicato su Molecular Psychiatry un articolo intitolato “FoxO1, A2M e TGFB1: tre nuovi geni che predicono la depressione come conseguenza dell’interazione tra geni di vulnerabilità’ e condizioni ambientali avverse”. Si tratta […]
Una ricerca dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia dimostra il legame tra geni ed eventi traumatici dell’età evolutiva nel successivo sviluppo della depressione. Annamaria Cattaneo, ricercatrice dell’Istituto, ha pubblicato su Molecular Psychiatry un articolo intitolato “FoxO1, A2M e TGFB1: tre nuovi geni che predicono la depressione come conseguenza dell’interazione tra geni di vulnerabilità’ e condizioni ambientali avverse”. Si tratta di uno studio sul tema della Depressione Maggiore che dimostra come fattori ambientali, ed in particolare eventi stressanti e traumatici durante i primi anni di vita possano esercitare un effetto sinergico con la vulnerabilità determinata dal proprio background genetico.
Questo studio rafforza l’idea che alcune varianti geniche, note anche come polimorfismi, possano interagire con l’ambiente avverso, rendendo alcuni soggetti più vulnerabili rispetto ad altri per lo sviluppo di psicopatologie. «Nel nostro studio – dichiara Annamaria Cattaneo – abbiamo condotto un nuovo approccio dove abbiamo intrecciato dati provenienti da diversi tessuti, da modelli preclinici e da studi in corti cliniche. Abbiamo quindi identificato un network di nuovi geni, coinvolti in processi di infiammazione e di risposta allo stress come possibili geni di vulnerabilità per la depressione. Il risultato più interessante è stato quando abbiamo osservato, in due diverse corti cliniche (un corte americana di pazienti con depressione ed esposti ad eventi traumatici e una corte norvegese di soggetti adulti che durante l’adolescenza erano stati separati dai genitori a causa della seconda guerra mondiale) che individui con determinate varianti geniche in questi geni, se esposti ad eventi stressanti durante l’adolescenza, erano quei soggetti che avevano sviluppato sintomi depressivi in età adulta. Il nostro studio sottolinea l’importanza di comprendere i meccanismi mediante i quali una predisposizione genetica (intesa sia come predisposizione al rischio o alla resilienza/protezione) possa interagire con eventi ambientali avversi, ed esercitare un effetto a lungo termine che viene poi smascherato in età adulta, con la manifestazione della malattia. Questo contribuirà non solo ad una migliore comprensione di come i nostri geni interagiscono con l’ambiente esterno, ma porterà anche all’identificazione di soggetti più a rischio, e anche di nuovi bersagli utili per lo sviluppo di nuovi farmaci, che se somministrati in via preventiva, potrebbero essere utili per minimizzare il rischio di sviluppare questa patologia».